
Riccardo Fraccaro, brillante sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha tutte le caratteristiche che occorrono per ricoprire quell’incarico. È intelligente, diplomatico, innovatore quanto basta, buon parlatore ed è anche aiutato da un bell’aspetto che lo rende popolare fra le elettrici pentastellate e non solo. Inoltre è un lavoratore instancabile: il ruolo che ricopre impone pochissime ore di sonno e tramezzini consumati in fretta e furia fra un incontro e l’altro. Il sottosegretario alla presidenza è per tradizione una delle eminenze grigie di Palazzo Chigi, così come lo sono stati Gianni Letta o Giancarlo Giorgetti. Lo stesso Giulio Andreotti ricoprì da giovane questo incarico per quasi sette anni ininterrotti, ai tempi di Alcide De Gasperi e Giuseppe Pella. È un incarico per certi aspetti oscuro, perché il sottosegretario alla presidenza deve saper moderare le sue apparizioni e gli interventi pubblici per non mettere in ombra il presidente del Consiglio.
A queste regole Riccardo Fraccaro ha sempre saputo attenersi con disciplina e spirito di servizio. Ha quindi destato sorpresa lo scatto di orgoglio con cui ha ricondotto a sé la norma sull’ecobonus al 110 per cento contenuta nel Decreto Rilancio. Una maxi agevolazione per far ripartire l’edilizia e con essa tutto l’indotto, oltre agli atri settori collegati come quelli del cemento, dei trasporti, dei laterizi e dell’arredamento. La novità principale, come è ormai noto, è che chi farà eseguire i lavori potrà non sborsare neppure un euro, cedendo il credito d’imposta all’azienda che esegue i lavori. Un’occasione utile anche per rinnovare il patrimonio immobiliare italiano e aumentare il risparmio energetico.
Purtroppo (e supponiamo non per responsabilità del sottosegretario), la norma sembra applicabile a un limitato numero di casi. Ad esempio, vale solo per l’abitazione principale e la detrazione spetta solamente in presenza di alcuni specifici casi, che sembrano rispondere alle caratteristiche dei condomini e non dei singoli appartamenti. Inoltre, alcuni passaggi burocratici e la necessità di avvalersi di tecnici per le certificazioni potrebbero scoraggiare gli interventi da realizzare. E poi c’è il capitolo dei controlli. È quindi possibile che gli effetti di ricaduta non siano del tutto quelli sperati. Probabilmente, anche in questo caso, l’impronta delle burocrazie ministeriali ha avuto il suo peso.
Non è raro il caso in cui le burocrazie dimostrano scarsa attenzione per gli obiettivi politici, preferendo l’ubriacatura di norme e codicilli al conseguimento dei risultati. Questo è uno dei problemi del nostro Paese. La formazione giuridico-borbonica dell’apparato pubblico italiano è un ostacolo al rinnovamento. E le norme, che dovrebbero risolvere un problema, finiscono per diventare esse stesse un problema da risolvere tramite regolamenti attuativi e circolari esplicative. È un discorso che vale per quasi tutti gli uffici di staff dei ministri, attenti scrivani di testi spesso sganciati dagli obiettivi e dalle esigenze pratiche imposte dalla crisi.
Aggiornato il 18 maggio 2020 alle ore 11:01