Imitare modelli autoritari può generare mostri

Uno studio inglese del London Deep Knowledge Group ha riconosciuto al governo guidato da Giuseppe Conte un importante “riconoscimento” e, cioè, quello di aver condotto l’Italia al secondo posto tra i Paesi meno sicuri al mondo dove vivere in tempi di Coronavirus. Peggio di noi ha fatto solo la Spagna, mentre Israele, con 248 decessi, guida meritoriamente la classifica dei Paesi che hanno saputo gestire al meglio l’emergenza sanitaria, anche perché sono stati i primi a formare un governo di unità nazionale per affrontarla seriamente. Ma analizzando i numeri, i decessi da Covid-19 in Spagna ammontano a 26.500 e sono, quindi, inferiori all’Italia che è a quota 30.500, per cui l’ultimo posto occupato dal Paese iberico va evidentemente rapportato alle sue più ridotte dimensioni rispetto all’Italia, anche se la distanza dall’ultimo posto non deve essere troppo lontana, a giudicare dai numeri. È evidente che non è facile per nessuno gestire simili situazioni di emergenza, tuttavia, le ragioni del penultimo posto mondiale non possono che dipendere, oltre che dal virus, anche da una serie di errori commessi dal governo sia prima che dopo l’individuazione del focolaio di Codogno avvenuta il 20 febbraio. Va anche ricordato che la risposta sanitaria è stata inizialmente fuorviata da errate indicazioni dell’Oms che hanno permesso al virus di sorprenderci, ma sul bilancio ha pesato anche e soprattutto l’iniziale sottovalutazione del problema “Bergamo” o, più precisamente, di alcuni comuni focolaio di quella provincia, i cui numeri, se interpretati correttamente e per tempo, avrebbero permesso di raccontare un’altra storia. Infatti, il lockdown del 10 marzo è anche il frutto della mancata zona rossa in Val Seriana del 26 febbraio.

Dopo aver chiuso la stalla quando i buoi erano già scappati, il governo, non sapendo cosa fare, ha virato su una scelta tutto sommato semplice, cioè, ha “copiato il compito” attingendo al “modello” adottato nel Paese da cui è partito il virus prima di approdare di noi, cioè, la Cina. Ma prendere esempio da una dittatura quando non si hanno i medesimi “trascorsi”, può anche non rivelarsi una trovata geniale. Infatti, seguendo il modello cinese, Conte ha ordinato alle persone di stare in casa e punto. E, per impartire un ordine del genere non c’è bisogno di particolari competenze scientifiche, basta semplicemente avere un certo coraggio, quello sicuramente, ed ordinare alle persone di non uscire più di casa, tutto qui. La conseguenza, però, è stata che il Paese, di colpo, è piombato, non per scherzo, ma seriamente, in un “regime”, instaurato in buona fede per migliorare la situazione sanitaria, ma i cui esiti non sono lontanamente paragonabili ai risultati ottenuti in Cina. Infatti, a Wuhan, sono riusciti ad “assorbire” il lockdown in modo diverso, poiché da quelle parti sono abituati ad ubbidire agli ordini senza fare troppe storie. La differenza è nella logica dei numeri: il lockdown è “costato” a questo Paese oltre 30mila morti, mentre in Cina i decessi si sono fermati a tremila, ma, curiosamente, i soggetti “quarantenati” sono gli stessi perché la provincia dell’Hubei consta di 59 milioni di persone, mentre in Italia siamo 60 milioni. Inoltre, l’adozione di un modello culturale e politico lontano anni luce dal nostro, ha comportato che, medio tempore, siano mancati i riferimenti ed è subentrata la paura di sbagliare, confermata anche dalla continua proliferazione di “task force”.

A conferma del “mostro” partorito, il governo ha dato imponenti prove di “contenimento” impedendo ad un tizio di fare il bagno in mare, ad un altro di correre in solitario sulla spiaggia mandando gli elicotteri, ad un altro ancora di prendere il sole mandando la polizia in spiaggia. Si tratta di episodi che possono generare crisi di “rigetto”, conoscendo la serietà e la professionalità delle nostre forze dell’ordine che ci hanno abituato a ben altro. In ogni caso, chiudere tutti in casa è molto più semplice che mettersi a lavorare seriamente per scovare soluzioni alternative che avrebbero consentito al Paese di andare, comunque, avanti, tutelando, innanzitutto, le persone a rischio e separando i giovani dai meno giovani, per non paralizzare del tutto il sistema economico e per evitare pericoli di propagazione “domestica”, anche perché un contagio su quattro risulta avvenuto proprio in casa. Infatti, come era prevedibile, il contagio in casa ha inciso sulla diffusione del virus con il 25 per cento del totale complessivo dei luoghi in cui si è principalmente propagato. Inoltre, non è mai stato spiegato con sufficiente chiarezza né dalla Protezione civile, né dall’Istituto superiore di sanità il numero preciso dei decessi avvenuti in casa, che resta avvolto nel mistero. Detto questo, va aggiunto che questo lunghissimo blocco totale del Paese, più che dal governo, è stato, in realtà, “imposto” dal comitato tecnico scientifico, il cui operato, tuttavia, non ha riscosso sempre consenso unanime, anche se alcune decisioni sono apparse di buon senso, come quella di riaprire le scuole direttamente a settembre.

Viceversa, il comitato si è rigidamente opposto, in fase di “riapertura”, a qualunque differenziazione su base regionale, sebbene in alcune regioni del Centro-Sud, sin da metà aprile, la curva del contagio, l’oramai famoso R con zero, fosse ampiamente sotto controllo rispetto ad altre aree del Paese. Questa posizione è stata giudicata troppo oltranzista ed ha prodotto un violento scontro, anche di natura giudiziale, tra alcune regioni, andate per conto loro, ed il governo che ne ha impugnato i provvedimenti davanti al giudice amministrativo. Ma anche le parziali riaperture del 4 maggio, autorizzate dal governo con l’ok del comitato tecnico, hanno suscitato feroci critiche perché giudicate inefficaci da numerose categorie imprenditoriali ed anche dal leader di Italia viva ed alleato di governo Matteo Renzi. Al riguardo, piuttosto indicative di un certo “timore reverenziale” nei confronti dei tecnici, sono le parole di Giovani Rezza, il direttore dell’Istituto superiore di sanità, il quale, il 21 aprile, alla domanda sulla maturazione dei tempi per passare alla “fase due” ha risposto: “Se per noi il rischio deve coincidere con zero mentre per gli imprenditori il rischio è 10, la politica faccia una sintesi”. Non sembra una grande scoperta, francamente. È più o meno come spiegare le addizioni o le sottrazioni agli studenti del corso di laurea in matematica.

Ancora, i verbali delle riunioni del comitato non vengano resi pubblici e ciò è fortemente irrituale perché non permette di monitorare con la dovuta trasparenza l’attività del “Comitato di Salute Pubblica” che sta decidendo le sorti del nostro Paese, anche perché sono lontani i tempi della Rivoluzione Francese e non c’è alcun rischio che i suoi componenti vengano ghigliottinati senza processo come accaduto a Maximilien de Robespierre e Louis Antoine de Saint-Just. Al di là delle battute, le persone e le decisioni del comitato tecnico meritano il massimo rispetto, ma non bisogna essere scienziati o ministri per rimanere perplessi se viene autorizzata la riapertura di un centro sportivo consentendo agli atleti di allenarsi e di sudare senza fare la doccia subito dopo, ma obbligandoli a farla a casa, perché è notorio che ci si può ammalare seriamente anche così, magari non di Covid, ma di altro. Qualche addetto ai lavori ha avanzato dubbi anche sulla composizione del comitato tecnico scientifico. Ad esempio, non è necessario essere degli esperti per chiedersi come mai non faccia parte del comitato il primo virologo italiano ad aver capito l’importanza di andare a caccia degli asintomatici, vale a dire il dottor Andrea Crisanti, la cui intuizione ha impedito che il Veneto facesse la fine della Lombardia ed ha fatto capire che “più tamponi” vuol dire “meno morti”.

Allo stesso modo, è legittimo chiedersi come mai Manfredi Guerra, membro dell’Oms, continui a farne parte, nonostante l’Oms avesse assicurato, fino a metà marzo, che gli asintomatici non andassero nemmeno “tamponati”. Così come è lecito chiedersi come mai un altro illustre componente, il dottor Silvio Brusaferro, il presidente dell’istituto superiore di sanità, occupi uno degli ultimi posti nella classifica della valutazione degli esperti stilata dalla rivista scientifica “Scorpus”, la Bibbia della scienza, secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tempo del primo maggio. E non è sorprendente che questo comitato sia stato nominato proprio dal soggetto che, fino a questo momento, si è distinto di meno per chiarezza, cioè, il capo della protezione civile Giuseppe Borrelli, il quale non ha praticamente mai risposto in modo chiaro alle domande dei giornalisti senza ricorrere al rigido protocollo burocratese. Detto questo, a giudizio di molti, l’adozione del modello cinese sta comportando per l’Italia ripercussioni negative anche di natura economica, sociale e costituzionale. Sul fronte economico, il costo del blocco adottato dal governo si aggira sui 50 miliardi di euro al mese, con un -40 per cento di produzione industriale nel primo semestre secondo l’ufficio parlamentare di bilancio, un -9 per cento di Pil annuale ed un +12 per cento di disoccupazione secondo le stime del commissario europeo Paolo Gentiloni. Questo perché il nostro Paese si basa essenzialmente sulla piccola e media impresa, capace anche di fare grandi numeri quotidiani e di tenere in piedi un sistema apparentemente solido, ma a condizione che ci siano costanti afflussi di cassa, a getto continuo, la cui interruzione non può durare troppo a lungo.

A giudizio di molti tecnici, il governo non sta intervenendo a dovere con la cassa integrazione in deroga, non sta “implementando” con la liquidità necessaria e, quindi, la risposta fornita è lenta, macchinosa e non in linea con le condizioni critiche, per cui c’è chi ha profetizzato che, tra i Paesi della “zona euro”, il conto più salato spetterà a noi, come al solito. Ma, poiché la nostra economia è in stagnazione già dall’ultimo trimestre del 2019, è stato da più parti suggerito che, in un momento così delicato, sarebbe necessario non solo un taglio netto della burocrazia, ma anche qualcosa di più e, cioè, un “premio” ad imprese e lavoratori con una cospicua riduzione delle tasse, quindi, un drastico intervento strutturale da attuarsi mediante la riforma dell’intero sistema economico, partendo proprio dalla riforma del sistema fiscale, nel rispetto della principio della progressività ex articolo 53 della Costituzione, ma senza superare il tetto massimo del 30 per cento di imponibile e con pene severe in caso di evasione. Se il governo è in grado di attuare riforme epocali non deve perdere altro tempo, altrimenti la soluzione, seguendo l’esempio di Israele, dovrebbe rapidamente condurre ad un esecutivo di unità nazionale, presieduto da Mario Draghi. A giudizio di molti giuristi, l’imitazione del modello cinese sta avendo ripercussioni anche “costituzionali” per l’eccessiva invasività delle misure adottate. Effettivamente, in queste difficili settimane, il mondo intero è stato “messo a casa” dai rispettivi governi, ma ciò è avvenuto rigorosamente su base volontaria quasi ovunque, tranne in Italia ed in pochissimi altri stati come la Spagna in cui sono state multate persone colpevoli di voler semplicemente prendere un po’ d’aria, ma tutto questo eccessivo rigore non sembra aver portato granché bene né a noi né agli spagnoli.

Mentre, con riferimento ai famosi “Dpcm”, va precisato che i “poteri speciali” attribuiti a Giuseppe Conte sono contenuti in un decreto legge convertito in legge dalle Camere, per cui la costituzione è stata rispettata, almeno formalmente. Tuttavia, la “ratio” costituzionale dei poteri straordinari è la loro rigorosa temporaneità che garantisce che i “super poteri” non possono durare troppo a lungo, altrimenti la costituzione verrebbe, comunque, aggirata. Inoltre, qualche osservatore ha fatto notare che, in questa difficile situazione di emergenza, la sovraesposizione mediatica del presidente Conte, sta coincidendo con una progressiva sparizione dai radar del ministro Roberto Speranza, mentre la figura del ministro della Sanità dovrebbe rimanere comunque centrale e non tendere progressivamente ad eclissarsi. Infine, il governo italiano ha anche omesso, ex art. 15 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, di comunicare al segretario generale del Consiglio d’Europa le pesanti restrizioni alla libertà personale applicate sul territorio nazionale ai propri cittadini. La nostra appartenenza al consesso internazionale impone tale adempimento che, peraltro, è stato rispettato da numerosi Stati membri, ma non dall’Italia, non si sa bene per quali ragioni. Per chiudere, anche se qualcuno ha falsamente esaltato “il modello italiano esportato nel mondo”, in realtà, ci siamo semplicemente limitati a “copiare il compito” ed abbiamo anche copiato male, poiché abbiamo seguito un modello autoritario, contrario alle nostre tradizioni, che non ha fornito i risultati sperati e che sta lasciando in eredità un Paese in emergenza sanitaria, economica, sociale e costituzionale.

Aggiornato il 13 maggio 2020 alle ore 12:02