
A dire che gli italiani, statali a parte, abbiano dimostrato una pazienza innaturale ci sembra normale, perché quando c’è di mezzo il lavoro, la bottega, l’azienda, la famiglia da sfamare, a sopportare un teatrino come quello che vediamo ci vuole una immensa forza d’animo. Oltretutto non va sottovalutato il fatto singolare che tra scienziati, esperti, cervelloni, ci sia in corso una sorta di tentativo di trasferire la paura della pandemia a quella dell’ipocondria, perché non passa giorno che non si annunci il pericolo di qualche malattia incombente. Insomma sembra che da ora in poi e fino alla fine di ogni esistenza si debba vivere sotto la minaccia non solo dell’ondata di ritorno del Covid-19 ma dell’insorgenza di ulteriori forme epidemiche pronte ad assalirci. Per farla breve è come se dovessimo restare sempre in emergenza nazionale, controllati, sottomessi, subordinati, impediti di votare, di godere delle libertà che la Costituzione originale garantisce mentre quella emergenziale impedisce.
Eppure da quando il mondo è mondo abbiamo vissuto, convissuto e sopravvissuto a mille virus, da quelli più scontati della semplice influenza a quelli più gravi e recenti dell’Aids, della Sars, come della mucca pazza, insomma siamo andati avanti senza blocchi, chiusure e clausure permanenti. Sia chiaro nel caso attuale è giusto rispettare regole e cautele, disposizioni e precauzioni, ma trasformare tutto in costante allarme, paura, emergenza e timori assoluti ci sembra una sorta di spinta all’ipocondria sociale. Anche perché il risultato finale di un clima surreale, nel quale l’economia rischia il collasso, lo Stato per il settore privato interviene poco e male mentre garantisce l’apparato pubblico, la gente è suggestionata e impaurita, si rischia davvero di far saltare tutto. Insomma ci chiediamo ma dove vogliamo arrivare? Ci sarà un punto da mettere per ricominciare a guardare avanti? Esisterà un tempo per dire che il futuro non è morto e la vita continua senza il terrore dell’abisso dietro l’angolo?
Ecco perché diciamo che anche la pazienza ha un limite e che gli italiani che producono lavoro, ricchezza, fatturato, hanno bisogno indifferibile di un aiuto serio, garantito, a fondo perduto dello stato, e di fiducia e buon auspicio sul domani anziché della minaccia di un inferno che una volta arrivato non andrà più via. Perché si cerca ovunque di convincere i cittadini che da domani nulla sarà più come prima? Ma che vuol dire? Perché mai dovremmo pensare a campare con la paura, le restrizioni, le limitazioni, gli isolamenti anche nel futuro? Quale è la ragione per la quale dovremmo abituarci all’idea di stare attenti a tutto, all’affetto manifesto, all’abbraccio, allo stare insieme a vivere e lavorare da vicini? Del resto nella storia le pandemie sono arrivate e poi sono passate, tanto è vero che la quarantena è vecchia come il cucco, un rimedio sicuro e sperimentato ma limitato per tempo e nel tempo, dopodiché tutto è ricominciato con la normalità della ragione, dunque perché stavolta dovrebbe essere diverso? Nella storia di fronte ai virus, sono arrivati i vaccini per fortuna, ma anche quando non li si è trovati come ad esempio per l’Aids, la società seppure con la conoscenza di un rischio nuovo di fronte al quale porsi con sapienza, ha convissuto normalmente senza dover stravolgere la vita, il lavoro, la quotidianità e il corretto e consueto convivere civile e collettivo.
Ecco perché non si capisce la spinta a convincere che col Coronavirus sia finito per sempre uno stile di vita, che da domani tutto dovrà essere da remoto a distanza, senza contatto umano, possibile che non ci si renda conto dei limiti e dei rischi di una esistenza e di una società divisa e separata? Insomma ci sembra francamente uno scenario da fantascienza più che da scienza, dopodiché va pure bene trarre esperienze nuove e utili a migliorare la vita e il lavoro con tecniche avanzate, digitalizzate, semplificate, ma con misura, cum grano salis. E comunque appare strano che si pensi tanto al dopo, a quello che dovrà essere il lavoro, la socialità, la convivenza, quando oggi dal governo non arriva ancora il contrasto vero all’emergenza, alla sussistenza, alla sopravvivenza dell’intero settore produttivo che è stato chiuso e subisce un pericolo di tenuta, di vita economica nel senso pieno. Qui non si tratta di dirette televisive, paginate di interviste sui giornaloni, discorsi e paroloni a effetto, si tratta di intervenire adesso e su tutto senza esitazioni, dai soldi a fondo perduto, alle tasse, agli stimoli fiscali, alla eliminazione di carte e di moduli, linee di credito immediate e per niente complicate, altroché parlare di prolungare l’emergenza, terrore delle malattie, di una vita cambiata per sempre. Insomma, la Costituzione non può vivere in sospensione, di decreto in decreto, di emergenza in emergenza, bisogna tornare seppure con il buon senso che questa esperienza ci ha consegnato e insegnato, ad una vita prudente ma normale. Solo così ripartiremo e supereremo la crisi della pandemia e soprattutto dell’economia, con prudenza nella normalità, attenzione nella nostra consuetudine, per concludere pensiamo all’oggi, a dare supporto finanziario e fiducia a sufficienza per la ripartenza, a sostituire insomma con la parola normalità, fiducia e speranza quella della paura, del timore e dell’emergenza.
Aggiornato il 12 maggio 2020 alle ore 12:34