
Siamo oramai in balia di un governo e di una coalizione che pongono e dispongono a piacimento, annunciano e smentiscono, promettono e non mantengono, predicano bene e razzolano male, intervengono sulla costituzione, insomma trattano il paese come un oggetto di proprietà. Per farla breve è come se il Parlamento, le regole della democrazia e quelle stesse della fonte delle fonti, per via dell’emergenza, fossero diventate una sorta di optional, una possibilità, per non parlare, dell’esempio e del rispetto verso chi soffre e rischia tutto. Qui non si tratta solo dei fatti sconcertanti delle multe ai ristoratori che per protestare civilmente, distanziati, con mascherine e guanti si sono ritrovati un verbale tutti quanti, o del barista che per un caffè a due guardie del monte posto di fronte al locale si è preso una sanzione, si tratta di tutto. Anche perché non si capisce la ragione per cui non si è proceduto allo stesso modo per episodi molto peggiori a partire dagli assembramenti del 25 aprile, dei navigli di Milano, degli immigrati ammucchiati ovunque, delle riunioni per il 1 maggio e così via.
Si tratta di considerare gli italiani, anzi quella sola parte che è esposta al repentaglio visto che quella degli statali, la crisi non la vede neanche per sbaglio, come fosse suddita e sottomessa, obbligata ad accettare se bere oppure affogare. Parliamo del segmento privato, quello a cui l’Italia deve praticamente tutto, dal Pil alla produzione di lavoro e di ricchezza da distribuire, alla capacità di fare cassa, dalle aziende agli artigiani, ai commercianti, agli autonomi, ai co.co.co., ai professionisti, agli operatori dell’economia. Parliamo insomma di quell’Italia che se morisse anche solo in parte, creerebbe un dramma nazionale da rivolta generale, perché sconfitto il virus con la produzione ferita a morte sarebbe impossibile anche affidarsi alla buona sorte. Eppure il governo con questi cittadini, questi settori, gioca a rimpiattino, a rimandare, sui provvedimenti, sulle manovre urgenti, ecco perché il Dpcm di aprile è diventato maggio e si avvia a diventare giugno, per non dire di quello di marzo che è ancora largamente inapplicato.
Come se non bastasse e da ciò che trapela, questi interventi non solo sono tardivi, ma iniqui, contorti, elaborati più per scoraggiare che aderire, calcoli, percentuali, differenziali, proporzioni, moduli da compilare, sembrano scritti per un cruciverba anziché per aiutare il fattore produttivo più vitale. A pensare male verrebbe da dire che il premier dopo aver promesso una valanga di miliardi, una potenza di fuoco da marziani, è tornato sulla terra a lesinare la micragna di soldi da erogare, per cui ovviamente ritarda e complica fino al paradosso l’utilizzo della poca ciccia intorno all’osso. Del resto delle due l’una o si scherza col fuoco, oppure si è promessa una montagna per offrire un topolino, perché di fronte ad una crisi di queste dimensioni la velocita e la quantità delle erogazioni non lasciano spazio a giustificazioni, complicazioni e restrizioni. Tanto è vero e qui siamo alla spudoratezza più totale che per finanziare in anticipo i partiti si è disposto che il 2 per mille, un’operazione elementare in automatico, si trasformi subito in un bonifico a favore della politica.
Insomma non solo i parlamentari di ogni genere non hanno rinunciato ad una lira di stipendio, non hanno imposto al governo una riduzione dei compensi statali fuori tetto, di quelli esosi di tante istituzioni, di quelli da sceicco di authority, organismi ed enti, ma si sono assegnati prima i finanziamenti. In più per non sbagliare nel decreto in bozza si confermerà il bonus della finanziaria che in maggior parte andrà all’apparato pubblico, insomma a chi magari anziché 2000 euro certi e garantiti ne prenderà 100 di più ogni mese, quando c’è gente nel privato che rischia il posto, la fame e l’indigenza. Parliamo di una quindicina almeno di miliardi l’anno di bonus, ai quali se aggiungessimo il residuo di quota 100, quelli del cuneo e di molto altro da recuperare a parità di gettito dall’enormità di sprechi pubblici, si supererebbe largamente il prestito del Mes. Per non parlare che nel decreto si vorrebbe chiudere definitivamente la salvaguardia Iva, insomma si vorrebbero bruciare in un momento così drammatico altri 21 miliardi pur di non rimodulare l’imposta verso l’alto per il voluttuario, evitando così di colpire le fasce basse e medio basse.
Da ultimo nel provvedimento sarebbe previsto l’ennesimo spostamento delle tasse al posto di uno storno a conferma che il primo pensiero del governo è quello di garantire i garantiti con le tasse dei privati, perché per la maggioranza più di sinistra della storia la ricchezza va colpita anche quando non c’è più o sta morendo, un concetto comunista da psicanalista, un’ossessione che ha generato fame e disperazione. Tanto è vero che il muro è caduto sull’economia, sull’incapacità dei comunisti a generare ricchezza e produzione di benessere, due elementi che per loro non vanno generati e sostenuti ma colpiti e tartassati a favore dell’assistenza e dello sperpero di stato e dell’apparato. Ecco perché scriviamo di un decreto che si annuncia, iniquo, contorto e sbagliato, un provvedimento privo di visione, di cultura dello sviluppo, di ogni conoscenza dell’economia a conferma di quale sia per il governo il concetto di democrazia.
Aggiornato il 11 maggio 2020 alle ore 13:17