La menzogna è un ritornello…

C’è un segnale inconfutabile che il governo Conte-bis sta per istituire nuove imposte o alzare qualche aliquota: e non è solo la proposta (di deputati del Pd) dal nome buonisolidarista di “Contributo di solidarietà” sui redditi superiori a 80mila euro, ma è che già i corifei delle élite decadenti hanno intonato di nuovo il ritornello ripetuto tante (purtroppo) volte negli ultimi 50 anni: lotta all’evasione! Paghiamone meno paghiamole tutti! Dopo che è stato gorgheggiato a lungo, l’esperienza insegna, segue, puntuale come la morte, uno o più aumenti (o nuove istituzioni) d’imposte i quali, avrebbero lo scopo esternato di combattere l’evasione”, ma invece hanno quello praticato, di far pagare di più quelli che non evadono (i soliti). Risultato esternato che è peraltro poco (o punto) raggiunto. Facciamo un esempio. L’Iva, l’imposta che ha il maggior gettito dopo l’Irpef, fu istituita nel 1972 e vige dal 1973; l’aliquota ordinaria nel 1973 era del 12 per cent. Nel tempo tale aliquota ha avuto 9 variazioni: 7 al rialzo (ne dubitavate?) e 2 al ribasso. Con gli ultimi rialzi dei governi Berlusconi (sul piede di partenza) e Letta siamo arrivati al 22 per cento. Ossia l’aliquota è quasi raddoppiata.

A che è servito il (quasi) costante rialzo? Sicuramente ad aumentare la predazione dei contribuenti i quali pagano per ogni cessione di beni e servizi soggetti all’aliquota ordinaria (quasi tutti) il 10 per cento in più a Pantalone (obiettivo conseguito ma occultato). Quanto al fine esternato il calcolo è più difficile, per il carattere presuntivo e/o parziale dei dati. Comunque da dati (relativamente) affidabili si sostiene che dal 1980 al 2009 l’evasione dell’Iva è calata dal 20 per cento al 14 per cento; valutazioni diffuse alla Cgia di Mestre danno un’evasione stimata (totale, cioè di tutte le imposte e contributi) di circa 100 miliardi di euro l’anno dal 2010 al 2015 (relativamente stabile) e per l’Iva, nello stesso periodo di circa 35 miliardi annui. I due aumenti, nello stesso periodo 2010-2015 che l’avevano portata dal 20 per cento al 22 per cento non sembra abbiano inciso affatto sull’evasione. D’altra parte è noto come le sciagure – e così la pandemia – stimolino l’appetito fiscale dei governanti. Amilcare Puviani scriveva che “il sopraggiungere di sventure pubbliche, il minacciare di pericoli nazionali e perfino l’esagerazione o addirittura l’invenzione di quelle o di questi, danno luogo ad attenuazioni degli effetti penosi immediati di imposte, opportunamente collegate a quegli eventi”; ghiotta occasione, quindi, per aumentarle. Analogamente Wilfredo Pareto scriveva che nel calcolare costo e produzione dei governi si ricorre allo scambio tra la necessità di soddisfare i “pubblici bisogni cui si provvede riscuotendo imposte”.

Il concetto di “bisogni” sosteneva Pareto è indeterminato o peggio dipende da una decisione di chi impone le tasse (cioè dalle élite dirigenti). Spesso si tratta di bisogni inventati e “creati” da ideologie o da interessi economici; è perciò assai utile che, in caso di sciagure collettive, cioè di bisogni reali, non si possa tacciare il governo di aver creato bisogni artificiali e per ubbie ideologiche o pseudo-etiche. Il governo così si muove lungo la linea di minor resistenza dei governati: trova meno riottosità all’imposizione e maggior collaborazione dei cittadini. Pertanto è difficile per il governo Pd-M5s resistere alla tentazione, specie per il Pd ch’è abituato a cedervi. Piuttosto è interessante notare come, da quasi cinquant’anni, tale argomento-principe per tosare i cittadini sia un asserto così poco ragionevole e smentito dai fatti. Gli è che “pagare meno, pagare tutti” è affermazione che ha una qualche base: è vero ad esempio che un’imposta spalmata su un maggior numero di contribuenti, incide meno pro-capite. Se si aggiunge a ciò la proporzionalità dell’imposizione, il carico appare equamente ripartito, Ma se, come avviene (ed avveniva) spesso, non incide (di fatto o di diritto) su tutti e/o non lo fa proporzionalmente, indubbiamente la situazione si deteriora. Al punto che l’esenzione (totale o parziale) della nobiltà e del clero da molti oneri tributari fu una delle cause, forse la principale, della Rivoluzione francese.

Scriveva Salvemini che nell’ancien régime le imposte “fuggivano quelli che avrebbero potuto pagare e si abbattevano su chi non era in grado di difendersi”. Possedendo gli ordini privilegiati circa un terzo delle terre francesi (in un paese agricolo!) la conseguenza era che i restanti due terzi dovevano soddisfare quasi integralmente i bisogni crescenti dell’amministrazione statale. Se l’affermazione è vera e si fonda su una semplice divisione da scuola elementare (il dividendo è il fabbisogno delle finanze pubbliche, il divisore il numero dei contribuenti, il quoziente il carico fiscale pro-capite) altri fattori, anche non puramente quantitativi e più determinanti, la condizionano. Il primo dei quali è l’aumento del dividendo: se il carico fiscale aumenta, il quoziente è sempre più gravoso, anche se equamente ripartito. Altro è dividere un carico fiscale che, nell’Italia di un secolo fa, si aggirava intorno al 20 per cento del Pil, altro oggi, che è oltre il 40 per cento. Anche se equo è comunque troppo. Il secondo è la destinazione del prelevato: se va a favore di certi ceti o classi, la disuguaglianza, cacciata dal prelievo, si riproduce nella spesa. Tutti pagano in modo uguale, ma alcuni ricevono disegualmente (i tax-consommers). Il terzo, che il vertice impositore è un complesso politico-amministrativo che, come tutte le classi dirigenti, vive non solo per la politica, ma altrettanto di politica, come scriveva Max Weber. E quindi si appropria di parte della ricchezza prelevata. Quando peraltro la classe dirigente gode di poca considerazione, ha un consenso minoritario e un’autorità (non potere, autorità) prossima allo zero, come quella italiana attuale, il problema è grave.

E diventa gravissimo in un’epoca in cui il risultato economico (in termini di crescita del benessere individuale e collettivo) è decisivo. I governanti attuali, e quasi tutti i precedenti, hanno aumentato il prelievo e non hanno ottenuto altro che una venticinquennale stagnazione, la peggiore d’Europa. E tralasciamo altri rilevanti aspetti del “quadro” complessivo per esigenze di “redazione”. È significativo poi che l’argomento “paghiamone meno, paghiamole tutti” abbia un carattere relativamente neutro; Pareto scriveva che le “derivazioni”, così preziose per coprire la predazione dei governanti, dovessero essere molto persuasive e/o connesse all’ideologia sbandierata come al regime politico. Nell’argomento in questione troviamo neutralità e conformità ideologica, anche se nel caso il “neutro” è prevalente sul “politico”.

Di quest’ultimo ha indubbiamente l’egualitarismo: è un egualitarismo da soggezione, ossia quello gradito a tutti i governanti (califfi, faraoni, padiscià, politburo e così via); ma ancor più ha la “neutralità” di un’operazione elementare, e soprattutto, comprensibile anche a chi ha minime nozioni di aritmetica. Quindi un effetto persuasivo di massa. Perciò è razionalmente superficiale e quindi poco o nulla “comprendente” ridurre a un solo aspetto, forse neppure il principale (ancorché importante) il complesso rapporto tra esigenze pubbliche e giustizia, autorità e consenso, doveri e diritti. Ripetere oggi il ritornello suddetto, ormai sentito da mezzo secolo e dopo tali penosi risultati significa quindi solo contare sul presupposto che tutti gli italiani siano (detto in politicamente corretto) “diversamente intelligenti”.

Aggiornato il 08 maggio 2020 alle ore 13:51