Oltre Conte

Per Giuseppe Conte, è giunta l’ora del countdown? Tra la Fase 2 e la “3” ci sono ingegneri occulti al lavoro per traghettare e costruire ponti tra il Conte II e l’Oltre Conte? In tal senso, vanno letti con il giusto angolo di diffrazione alcuni antefatti negli avvicendamenti recenti di importanti direttori dei maggiori organi di stampa italiani, opera di esperti mastri muratori ai quali il fondatore storico di la Repubblica ha fatto giungere un messaggio forte e chiaro nel suo intervento del 26 maggio scorso. In pratica, si tratta del più muscolare braccio di ferro mai avvenuto dall’Italia del Miracolo economico ad oggi, tra potere confindustriale e politica.

Tutto parte dal famoso editoriale di Mario Draghi pubblicato sul Financial Times del 27 marzo scorso, in cui l’ex Governatore della Bce proponeva le sue ricette per una rapida recovery del sistema socio-economico europeo, onde evitare che la recessione pandemica si trasformasse in una prolungata depressione. Il rimedio principe, per Draghi, era il ricorso al deficit spending da parte dei Paesi più colpiti. Onde evitare “una pletora di default”, la Bce sarebbe dovuta intervenire con un Qe-bis per la futura sostenibilità del debito degli Stati più esposti. Rimedio, tuttavia, che non sarebbe stato di per sé sufficiente a garantire un recupero sostenuto della crescita dal 2021 e che, pertanto, doveva essere accompagnato dalla… “cancellazione del debito privato” accumulato per il mantenimento dei posti di lavoro ante-crisi.

I Governi, sosteneva Draghi, debbono far arrivare il più rapidamente possibile liquidità alle imprese eliminando gli intralci burocratici, in modo da assorbirne “una consistente perdita dell’aliquota di reddito” causata dal lockdown. Esattamente tutto ciò che il Governo Conte II ha dimostrato di non saper fare, imprigionato com’è dalla componente ideologica anti-industriale della sua attuale maggioranza, che punta all’assistenzialismo e al ritorno in grande stile dello Stato nel controllo e nella gestione di interi comparti dell’economia. Ed è così che il volto nuovo della Confindustria, Carlo Bonomi, è intervenuto a gamba tesa durante la trasmissione “Mezz’ora in più” di Rai Tre asserendo che: “Questo voler contrapporre la salute al lavoro non è mai stato nelle nostre corde […], servono meno slogan, meno frasi fatte” dando all’intervento pubblico una maggiore concretezza, perché poi “si parla tanto della fase 2 ma nessuno sta progettando la fase 3, quella dei grandi investimenti per l’industria 4.0 […], sbloccando opere pubbliche ferme per 35 miliardi”, coniugando così l’economia con l’ecologia. Serve, ha sostenuto Bonomi, varare un grande piano di investimenti sul territorio e far ripartire fin da subito le imprese che hanno la capacità di rispondere agli accordi di sicurezza siglati con governo e sindacati, in quanto collocate nelle grandi catene del valore aggiunto dell’export.

Poi, un affondo diretto: “qual è il metodo per arrivare alla riapertura del 4 maggio” per cui il Governo non ha fino a ora dato una risposta? Quindi, mi pare chiaro che i soggetti più dinamici del Paese stiano guardando ben oltre l’orizzonte limitato del Conte II e delle sue contorsioni sul Mes. Certo, un timoniere come Draghi saprebbe meglio di chiunque altro come far arrivare presto e bene liquidità alle piccole e medie imprese, giocando la golden share in maniera strategica per evitare lo shopping a prezzi di svendita da parte dei colossi asiatici e riportando indietro con un sistema di incentivi e di agevolazioni fiscali imprese strategiche che hanno delocalizzato in Cina, per beneficiare di poderosi sconti fiscali e abbattere i costi di produzione. Tra l’altro, la presenza di Draghi avrebbe un effetto propulsivo sulla definizione del Recovery Fund e sull’armonizzazione dei sistemi fiscali della Ue, perché al suo interno non possono sussistere paradisi fiscali come quelli di Olanda e Lussemburgo! Ovvio che la Germania e la Merkel hanno perfettamente ragione a dire che, in qualche modo, la manna degli aiuti europei deve essere condizionata alla realizzazione di riforme strutturali non più rinviabili da parte dell’Italia, come quelli della giustizia e della burocrazia.

Di certo, è opportuno che gli investimenti europei per la realizzazione delle grandi infrastrutture (alta velocità, banda larga, dorsali informatiche, messa in sicurezza del territorio, etc.) siano gestiti dall’Autorità europea che amministrerà il Recovery Fund, mentre all’Italia spetterà fare riforme a costo zero, come: cancellare una miriade di enti inutili; ridurre molte migliaia di centri di spesa a poche decine; centralizzare gli acquisti sanitari e imporre in merito standard di qualità a livello nazionale, ricostruendo ex novo il tessuto territoriale del Ssn decimato nei decenni dal rigore del Patto di Stabilità e dalla pessima prova che hanno dato di sé la maggior parte delle Regioni. Di certo, però, i demoni della globalizzazione che hanno distrutto il tessuto manifatturiero italiano debbono essere governati e drasticamente ridimensionati!

Dall’Asia vengono in particolare i predatori dell’Arca perduta, che hanno trovato il Santo Graal nel consumismo sfrenato (tra l’altro, provocando la distruzione letterale delle risorse della Terra, nonché delle nostre manifatture di qualità e dell’agroalimentare italiano), facendo di noi dei burattini con il portafoglio sempre aperto per acquistare quintali di merci scadenti, buone per essere conferite in discarica o dimenticate negli armadi!

Aggiornato il 27 aprile 2020 alle ore 12:40