
La conversione in legge del Decreto “Cura Italia” e le nuove misure a favore di medici, infermieri e operatori socio-sanitari: Provaci ancora Sam. C’era molta attesa da parte di medici, infermieri e operatori socio-sanitari per alcune misure che avrebbero dovuto essere inserite in sede di conversione del Decreto “Cura Italia” discusso ieri dalla Camera con voto di fiducia, nella versione licenziata dal Senato. Alla fine del percorso, chi ha seguito i lavori parlamentari, non può non farsi una domanda: è mancato il coraggio o la capacità? Due sono le novità su cui vale la pena soffermarsi un attimo. La prima, in realtà, è una “mancata novità” ossia qualcosa che avrebbe dovuto esserci e invece, per incapacità, è mancato. Come molti ricorderanno alla fine di marzo in tutta Italia erano apparsi annunci online di studi legali che invitavano i familiari delle vittime di Covid-19 a fare causa per danni nei confronti dei medici.
L’accusa di sciacallaggio da parte di varie associazioni dei medici e la reazione di numerosi ordini forensi e delle Camere civili sono riuscite a bloccare lo squallido tentativo di speculazione, ma certo non sono sufficienti a impedire azioni future. E nemmeno basta allo scopo la decisa presa di posizione del Consiglio nazionale forense con l’invito ad un’attenta e “forte vigilanza di tutte le istituzioni forensi nell’individuare e sanzionare i comportamenti di quei pochi avvocati che intendono speculare sul dolore e le difficoltà altrui, nel difficile momento che vive il nostro Paese”.
In questo contesto si colloca il “pasticciaccio brutto” dell’emendamento presentato dal Pd (primo firmatario il senatore Andrea Marcucci), poi seguito da analoghi emendamenti di Lega (primo firmatario il senatore Matteo Salvini) e Fibp-Udc (primo firmatario il senatore Gaetano Quagliariello) nonché da altre proposte (ad esempio Gaetano Nastri (Fratelli d’Italia), Laura Boldrini (Pd), Davide Faraone (Italia Viva). Il problema dov’è? Che negli emendamenti aveva fatto ingresso, in forme e modalità diverse, qualcosa di eccedente rispetto all’obiettivo primario, un “corpo estraneo” idoneo a stravolgerne gli effetti: l’esclusione da future responsabilità per “danni a terzi” anche delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche o private, degli amministratori e dei gestori, dei datori di lavoro, o dei soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria derivante dal contagio.
Dopo la denuncia di tentativo di introdurre uno scudo “Salva politici”, e la preoccupazione per il fatto che le modifiche avrebbero altresì impedito od ostacolato qualunque azione risarcitoria per i danni subiti dagli stessi operatori nei confronti delle strutture di appartenenza, tra bisticci, distinguo, incomprensioni e retromarce, è andata a finire che nessuna modifica è giunta in porto. Col che, però, è saltato anche l’obiettivo primario, ovvero quello di tutelare i medici ed operatori sanitari in prima linea contro il Covid-19 contro future azioni giudiziarie limitando la responsabilità civile, disciplinare e penale ai soli casi di dolo o colpa grave.
Difficile capire il perché, dal momento che sarebbe bastato riformulare l’emendamento “depurandolo” da ogni riferimento ultroneo. Un’occasione persa. E, a questo punto occorrerà attendere gli esiti del tavolo di lavoro proposto dal Pd per approfondire il tema della responsabilità nei suoi vari aspetti, con l’auspicio che la questione (cruciale) non cada nel dimenticatoio. La seconda novità è rappresentata dalla istituzione, “presso la presidenza del Consiglio dei ministri” di “un fondo con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2020 destinato all’adozione di iniziative di solidarietà a favore dei famigliari di medici, personale infermieristico e operatori socio-sanitari, impegnati nelle azioni di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, che durante lo stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020 abbiano contratto, in conseguenza dell’attività di servizio prestata, una patologia alla quale sia conseguita la morte per effetto diretto o “come concausa” del contagio da Covid-19 (articolo 22-bis).
La previsione, in termini generali, è senz’altro apprezzabile ma si presta ad alcune obiezioni. In primo luogo, la dotazione di 10 milioni: il numero dei medici e degli infermieri morti per Covid-19 supera ormai le 180 unità. Anche ammesso che il tragico bilancio si fermi qui, si tratterebbe di poco più di 50mila euro a famiglia. In secondo luogo, i tempi, i modi, i criteri di ripartizione del fondo saranno determinati con decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Nessuna certezza, quindi, per i famigliari delle vittime né sul come, né sul quanto, né a quali condizioni, né sul quando si vedranno attribuito un qualche riconoscimento.
E pensare che sarebbe bastato fare qualcosa di molto più semplice, giusto, ed efficace: riconoscere espressamente ai famigliari di queste vittime del dovere gli stessi benefici economici, previdenziali e fiscali che lo Stato da tempo prevede a favore delle vittime per fatti di terrorismo e di criminalità organizzata, inserendo nell’articolo 1 della legge 3 agosto 2004 n° 206 come ho proposto sulle pagine di questa testata (30 marzo 2020). La legge c’era già. E la proposta, oltretutto, avrebbe potuto evitare molte azioni giudiziarie a carico delle Asl, delle Regioni, del ministero della Salute e dello Stato. Purtroppo, ancora una volta, si è scelta una strada diversa. Meno lineare, di più complessa attuazione e poco efficace.
(*) Professore ordinario di diritto del lavoro dell’Università di Modena e Reggio Emilia
Aggiornato il 23 aprile 2020 alle ore 12:41