
Sicuramente la differenza più vistosa fra la situazione sociale complessiva che caratterizza l’attuale pandemia rispetto a quelle passate è l’abbondanza straripante di informazioni, vere o false, e di opinioni, brillanti oppure sciocche. Fra queste ultime va segnalato il parere di un noto giornalista di una ancora più nota testata nazionale il quale, durante un talk show mattutino, in merito alle ondeggianti e incerte decisioni del Governo, ha denunciato, con aria assai seria, l’impreparazione di uomini come Giuseppe Conte, avvocato, o Roberto Speranza, laureato in Scienze politiche, di fronte alle complesse articolazioni dell’attuale dinamica sanitaria. Da parte mia non c’è alcuna particolare simpatia per l’attuale governo, ma opinioni del genere citato sopra non possono essere tollerate e subito dimenticate come le tante altre banalità che vanno e vengono in questi giorni.
Il giornalista in questione, in effetti, non ha fatto altro che esporre candidamente l’opinione che accomuna troppi italiani (ma la cosa non è diversa altrove) secondo i quali appare ovvio che la tanto invocata “competenza” si dovrebbe concretizzare nell’affidare ad un medico il ministero della Salute, ad un giurista quello della Giustizia, ad un ingegnere quello dei Trasporti, a un militare quello della Difesa e così via. È veramente sconsolante constatare che persino la cosiddetta grande stampa ospiti idee tanto superficiali che forse sarebbero piaciute a H.G. Wells, ma un secolo fa, nel quadro di un mero orientamento tecnocratico e fantascientifico. Le considerazioni da fare sono tre.
L’utopia dell’uomo giusto al posto giusto
La prima, ovvia ma che evidentemente ha bisogno di essere sottolineata, riguarda la politica in quanto tale ossia un’attività che è di per sé una sorta di specializzazione, ma paradossale poiché consiste nella gestione delle eterogeneità e, dunque, delle specializzazioni altrui. L’uomo politico non ha bisogno di competenza specifica bensì di saggezza, lungimiranza, capacità di valutare l’affidabilità dei collaboratori e sintetizzare le conoscenze dei consulenti, tutte cose che valgono nella conduzione di un Governo come nella direzione di un’azienda. Per questo l’attitudine alla politica di alto livello è piuttosto rara e non si fonda su studi e lauree particolari. Per essa, insomma, vale il detto per cui “la Storia brucia col legno che trova”. Si possono attuare mille strategie per la formazione di ceti politici di buon livello ma, nel migliore dei casi, esse serviranno solo a far emergere, se vi sono, attitudini preesistenti.
La politica è gestione delle competenze altrui
La seconda riguarda i rischi della competenza specifica nella conduzione, per esempio, di un ministero. Quale competenza dovrebbe avere un ministro della Salute? Di fronte ad un’epidemia sembrerebbe intuitivo nominare un infettivologo ma, qui come in tante altre questioni razionali, la verità è di ordine contro-intuitivo. Certamente un infettivologo non avrebbe difficoltà a rendersi conto della situazione, ma altro è prendere decisioni su cui i suoi colleghi potrebbero avere pareri diversi, provenire da scuole infettivologiche diverse, possedere esperienze contrastanti. Alla fine, le riunioni dalle quali dovrebbe uscire una decisione operativa finirebbero per diventare seminari scientifici, con tanto di diatribe e rivalità di scuola mentre la popolazione attende possibili soluzioni. Altrettanto avverrebbe se affidassimo il ministero dei Trasporti ad bravo un ingegnere che ha passato la vita a progettare treni ma non ha alcuna esperienza in fatto di aerei o automobili, oppure se affidassimo ad un sismologo la ricostruzione di una zona terremotata o ad un generale dell’aeronautica, che non avesse mai messo piede su una nave o su un carro armato, il ministero della Difesa. Sia chiaro: chiunque può mostrare capacità politiche e, dunque, anche gli specialisti appena elencati potrebbero rivelarsi ottimi decisori politici, ma non per la loro specializzazione la quale, semmai, potrebbe gire come condizionamento. Va poi aggiunta un’ultima battuta critica che costituisce anche la prova finale dell’inconsistenza dell’opinione corrente: se sembra così persuasiva l’opportunità che la competenza specifica sia la risorsa giusta sulla cui base affidare un ministero, di quale competenza dovrebbe essere portatore il Presidente del Consiglio?
Saper leggere, scrivere e far di conto
La terza ha a che fare con un solenne equivoco circa il concetto stesso di “competenza”. In base alle prime due considerazioni, dovrebbe risultare agevole comprendere che la generale deprecazione per un ceto politico come l’attuale non si riferisce alla marcata mancanza di competenze professionali ma, più semplicemente, alla sua disarmante impreparazione culturale di carattere generale. Si tratta, infatti, di una mancanza estremamente grave che certamente non predispone alla accurata presa d’atto delle varie realtà sulle quali devono essere assunte decisioni di rilevante interesse collettivo. La carenza di competenza professionale può essere grave di per sé, perché senza di essa non è possibile fare esperienza concreta sia in fatto di soluzione dei problemi sia in fatto di relazioni con gli altri, ma non è l’aspetto più tragico poiché, per fare politica seriamente, occorre soprattutto un robusto alfabetismo generale che metta in grado di valutare correttamente i fatti e le proposte di chi ha competenze specialistiche.
Aggiornato il 22 aprile 2020 alle ore 12:34