Il Coronavirus e quelle riforme mancate

Di fronte ad una crisi che arriva a bloccare un'intera nazione, ed a coinvolgerne tutti i settori economici e tutti gli strati della società, si sostiene la necessità di “fare sistema”, ovvero di accantonare temporaneamente le diatribe del confronto politico ordinario al fine di rafforzare un’unità nazionale utile a contenere meglio e debellare un determinato pericolo. La tragedia del Coronavirus sta mettendo senz’altro a dura prova la tenuta dell'Italia, a livello non solo sanitario, ma anche economico, sociale ed amministrativo. Come è noto, la pandemia è globale, ma per ora ci concentriamo sul nostro Paese. Il governo Conte chiede pertanto da tempo di evitare toni troppo aspri nei confronti dell’azione dell'esecutivo nella lotta al Covid-19 e nella gestione della ripartenza del Paese.

Intanto sarebbe doveroso distinguere fra l'eventuale irresponsabilità del “tanto peggio tanto meglio” e il diritto alla critica, perché il passaggio dalla democrazia ad una sorta di regime più o meno mascherato potrebbe essere rapido. Non è sbagliato di per sé invocare coesione soprattutto nei momenti più drammatici, ma per farlo in maniera credibile occorrerebbe avere anzitutto la coscienza pulita, e non sembra essere questo il caso di Giuseppe Conte e dei partiti che sorreggono il suo governo. Se colui il quale dovrebbe rappresentare tutti gli italiani, inclusi gli elettori leghisti e di Fratelli d'Italia, in questo difficile frangente, si abbassa ad attaccare Salvini e Meloni tramite una diretta e senza contraddittorio, alla stregua di un Nicolas Maduro qualsiasi, poi non può pretendere di essere considerato da tutti come una guida quasi super-partes e saldamente capace di traghettare l'Italia fuori dall'emergenza. Se addirittura Enrico Mentana, che non è certo un fan di Lega e FdI, è giunto a stigmatizzare quell'attacco di Conte alle opposizioni, significa che il premier l'ha fatta davvero, come si suol dire, fuori dal vaso. Aggiungiamo inoltre gli incontri con l'opposizione durante i quali la maggioranza non ha recepito nessuna delle proposte avanzate dalla minoranza, ed anche un bambino capisce come la volontà del governo di collaborare con tutti sia soltanto teorica.

Diventa complicato poi “fare sistema” quando è il sistema stesso a non funzionare e a presentare falle impressionanti. Nel momento in cui l’architettura istituzionale di un Paese, con tutti i suoi pesi e contrappesi, la divisione dei poteri e l’equilibrio fra il governo nazionale e le competenze degli enti locali, mostra segni di invecchiamento e di schizofrenia già durante l’ordinaria routine, essa svela tutti i suoi mali e rischia di cedere in una fase enormemente critica come l’attuale.

Molto male fece la politica tutta della cosiddetta Seconda Repubblica ad eludere le principali riforme, politiche ed economiche, o a farne soltanto alcune a spizzichi e bocconi, delle quali l’Italia post-Tangentopoli aveva estremo bisogno. Se il grande desiderio di cambiamento degli anni Novanta, in cui credeva la maggioranza degli italiani, fosse stato tradotto in atti politici concreti, oggi saremmo in una situazione assai migliore che consentirebbe di governare meglio anche l’emergenza provocata dal Coronavirus.

Per cominciare e per dirla proprio tutta, non avremmo innanzitutto un governo come il Conte bis, nato da alchimie di palazzo. Vi sarebbe magari meno burocrazia statale. Quella stessa burocrazia che ha impedito finora la corretta fornitura di dispositivi di protezione individuale e di ventilatori polmonari. Esisterebbe maggiore chiarezza per quanto riguarda poteri e limiti di governo e regioni, e non assisteremmo ai distruttivi conflitti di questi giorni, che hanno compromesso la gestione dell’emergenza sanitaria ed ora stanno minando la possibilità di una riapertura ispirata al buonsenso, ossia attenta certamente alla salute, ma anche a non dare il colpo di grazia ad un’economia già in pessime condizioni.

Certo, ragionare con i se serve a poco, ma aiuta perlomeno a comprendere le tante occasioni perse dall’Italia negli ultimi ventisei anni. Un sistema solido e riconosciuto a tutti i livelli amministrativi non può subire cortocircuiti nemmeno a causa della diversa colorazione politica, sempre possibile, dei governi nazionali e di quelli locali. Assistiamo invece a continue divergenze fra Roma ed alcune regioni in merito alla cosiddetta “Fase 2”. Si tratta di liti che finiscono per confondere un quadro generale già piuttosto caotico e lacerato, e per generare ulteriore sconforto presso l’opinione pubblica.

È in corso un attacco molto grave, con tanto di sguinzagliamento della magistratura, ai danni della regione Lombardia a guida naturalmente leghista. Ciò viene fomentato in primis dalla maggioranza di governo, che, tramite qualche esponente non di secondo piano, agita addirittura lo spettro del commissariamento, e in secondo luogo da taluni giornali come Il Fatto Quotidiano, ormai trasformatosi in una sorta di Pravda giallo-rossa. Un ordinamento in buona salute non tollererebbe neppure uscite estemporanee come quella di Vincenzo De Luca sulla chiusura dei confini della propria regione. Il governatore campano è un personaggio atipico e risulta simpatico anche a chi di sinistra non è, ma rimane pur sempre un amministratore del Pd, e a tale riguardo non osiamo immaginare cosa sarebbe successo e quali editoriali avrebbe scritto Travaglio, se la stessa boutade fosse stata esternata, per esempio, da Fontana o Zaia. Come minimo, si sarebbe urlato al secessionismo e al golpismo.  

Aggiornato il 21 aprile 2020 alle ore 13:20