Non solo Bce, la rivoluzione è banche dei poveri e filantropia post virus

Tutta questa “potenza di fuoco” di aiuti e liquidità, come la chiama il premier Giuseppe Conte, preoccupa. Primo, perché stenta ad arrivare, come lamentano le opposizioni. Secondo, perché sono prestiti difficili ad avviare e che vanno rimborsati in sei anni, neppure a fondo perduto. E tutti gli altri bonus, dai 600 euro agli interventi per le categorie più deboli, ce li ritroveremo sotto forma di tasse sempre più alte e di multe sempre più salate. Nulla di nuovo fin qui. Questo è il sistema che ha affossato l’economia, cioè tutto basato su interventi di Stato solo in apparenza solidali, dal reddito di cittadinanza ai vari bonus scuola o figli o babysitter, che svuotano le casse e poi le nostre tasche. Ma di crescita del lavoro, di semplificazioni e di alleggerimento fiscale non c’è traccia. Non solo. In questo frangente di alta emergenza andrebbe costruito con sapiente ingegneria economica un sistema filantropico valido e il solo adeguato al nostro genere di problemi. Poiché la metà dell’economia che dobbiamo mettere in piedi è per i più poveri e i più deboli, a cominciare dalle migliaia di stranieri che abbiamo fatto entrare e che ora ci pesano in sicurezza, legalità e sopravvivenza.

Abbiamo in Italia una miriade di fondazioni, quasi ottomila, in cui lavorano circa 400mila persone, operative in tutti i settori: sanità e ricerca, servizi sociali, istruzione e sport. Tutte le grandi aziende, i soggetti economici e le banche hanno le loro fondazioni, ma il silenzio è assordante. Invece spetta loro agire copiosamente nell’attuale emergenza, non solo con programmi immediati sulle forniture di mascherine o sulla spesa solidale, ma con veri programmi anche a lungo termine. Tutte le fondazioni dell’alta moda per esempio cosa fanno? La fondazione Fendi, Armani, Prada e così via. E le fondazioni delle grandi aziende e bancarie, dove sono i loro progetti? Un sistema filantropico è la vera chiave di volta per un momento come questo, per alleggerire lo Stato affinché possa dedicare le risorse non solo al mantenimento solidale di un Paese nel suo complesso. Perché se facciamo questo non è il made in Italy che rilanciamo, ma un’Italia di straccioni a 600 euro che non bastano neppure per pagare le bollette. Attenzione, sapete cosa dice la gente? Chiudo l’attività e mi metto a reddito di cittadinanza!

Non elenco neppure il terzo settore, anche questo in gran parte desaparecidos, perché il terzo settore aspetta i finanziamenti europei e dello Stato, quella presunta “potenza di fuoco” che si disperde facilmente tra cooperative e associazionismo, dove negli ultimi tempi si è annidato il cancro dell’illegalità. Quello che intendo nella Fase 2 del Covid-19 è proprio un sistema diverso, in cui la filantropia prenda il posto in gran parte dello Stato sociale e dove il sistema economico sia parte attiva del ciclo produttivo solidale. Ha ragione il Premio Nobel Muhammad Yunus, il noto banchiere dei poveri del Bangladesh, che in questi giorni alza la voce con tono profetico: “La portata dei disastri provocati nel mondo dalla pandemia da coronavirus è sconvolgente. Nonostante ciò, e malgrado danni ingentissimi, siamo davanti a un’occasione senza precedenti”, ha avvertito scongiurando la classe dirigente a non tornare al mondo prima.

“I governi – ha detto – devono garantire ai cittadini che questo programma di ripresa sarà completamente diverso da quelli del passato. Il punto cruciale consisterà nel mettere al centro di ogni decisione e di tutti i processi decisionali politici una nuova consapevolezza sociale e ambientale. I governi dovranno garantire che neanche un dollaro andrà a finire nelle tasche di qualcuno a meno che non ci sia la garanzia che quel dollaro dato a quel qualcuno porterà al massimo vantaggio sociale e ambientale possibile per la società intera”. La rivoluzione che propone il fondatore della Grameen Bank, la banca del microcredito che ha già sollevato migliaia di poveri del Terzo Mondo, è una strada fondamentale per il tempo in cui viviamo. La proposta di Yunus si chiama New Recovery Programme: “Si tratta di un’impresa creata esclusivamente per risolvere i problemi delle persone, un’impresa che non crea un utile personale per gli investitori, se si eccettua il solo recupero dell’investimento iniziale”.

A noi non serve solo una Bce, a noi serve un sistema filantropico sapiente e la banca dei poveri. Anche lo Ior, la banca di Dio, potrebbe fare la sua parte.

Aggiornato il 21 aprile 2020 alle ore 12:48