Fase 2: la speranza che cada il “muro”

Si sono evocate “guerra” e “dopoguerra”, per descrivere l’oggi (disastro Coronavirus) e ipotizzare il domani (un nuovo “miracolo italiano”, simile a quello degli anni Cinquanta). Purtroppo nessun miracolo è alle porte, se persistono le attuali regole della nostra convivenza, molto diverse da quelle vigenti negli anni Cinquanta. Oggi l’Italia non può correre, ma nemmeno camminare, perché ha due palle al piede: il principio del sospetto e quello di prevenzione, entrambi estremizzati.

Il primo immobilizza l’iniziativa privata, dietro una selva di autorizzazioni preventive. Ovviamente gli atti amministrativi – che rimuovono il “sospetto” iniziale e mondano il “sospettato” del suo animus fraudolento, presunto per legge – non hanno termini perentori, ragionevolmente brevi. Nessuno tiene conto dei costi sostenuti dal sospettato, nella paziente attesa dell’atto amministrativo che rimuove il sospetto; né mai dovrà risarcire il danno cagionato dai rinvii ingiustificati o pretestuosi. Anzi il funzionario pubblico, che volesse mostrarsi solerte e affrettare i tempi di rimozione del sospetto, sarebbe a sua volta sospettato di essere colluso col sospettato numero uno. Sicché non ha alcuna fretta.

Il secondo principio immobilizza l’iniziativa privata, dietro una selva di requisiti e criteri di esercizio, per il bene della sicurezza, sanità. Se tale principio di precauzione viene portato alle estreme conseguenze, si determina la paralisi sociale. Le attuali vicende del Coronavirus ne forniscono la migliore esemplificazione possibile: l’eliminazione di ogni rischio di contagio si può avere solo nelle condizioni degli arresti domiciliari generalizzati. Alla maniera cinese. Il che ci introduce alla domanda di fondo: è ragionevole perseguire la finalità del rischio zero? Oppure, ipotizzando l’impossibilità del rischio zero, è preferibile convivere con una certa dose di rischio? Per esempio, non credo sia opportuno continuare a imporre criteri restrittivi come quelli odierni, durante la stagione balneare; sarebbe la catastrofe finale per tutto il settore turistico.

L’efficacia paralizzante dei due principi è direttamente proporzionale al tasso di pervasività e invasività dell’apparato pubblico nell’ordine sociale. Se non dispiace a qualcuno, lo chiamerei tasso di “comunismo”. Laddove lo Stato si arroga il diritto–dovere di vigilare su tutto, autorizzando e inibendo; di tutelare la nostra salute fisica e mentale, eliminando tutti i pericoli della nostra esistenza; di pianificare l’ordine economico, creando le condizioni del “progresso”; inevitabilmente, ciò che è privato diventa “comune”. Nell’Italia di oggi, la forma moderna e occidentale del “comunismo” ha raggiunto il suo massimo livello e dunque la massima efficacia paralizzante.

In queste condizioni, non possiamo attenderci alcun nuovo “miracolo economico”. Dagli anni ‘50 al 2020 sono stati percorsi 70 anni di marcia verso la progressiva incapacità dell’individuo, al punto che è stata paralizzata l’iniziativa privata. I Paesi dell’ex Unione sovietica, dopo aver percorso “70 anni di marcia verso il nulla”, si sono liberati del fardello comunista; noi abbiamo percorso la strada inversa e ci siamo gravati di un fardello sempre più pesante. Per intraprendere la strada del rinascimento italiano, è necessario invertire la rotta, a cominciare dalla cosiddetta Fase 2 del Coronavirus. L’opportunità che ci offre l’attuale disgrazia mondiale, indotta dal virus – aggravata in Italia da arresti domiciliari generalizzati, unici nel mondo occidentale – è quella di rendere evidente la paralisi derivante dal parossismo della diffidenza e della precauzione. In tempi normali, il fardello comunista era sopportato e pochi si accorgevano del suo peso eccessivo; oggi il somaro non regge più la soma, perché la strada è molto più impervia.

Occorre un radicale cambiamento culturale nei rapporti Stato-cittadini. Un primo passo potrebbe essere l’elementare riconoscimento della paritaria condizione giuridica della pretesa pubblica e di quella privata. Ciò avrebbe rilevantissime conseguenze: per esempio, sarebbe ammessa l’immediata, generale compensazione dei debiti e dei crediti tra l’Agenzia dello Stato e il contribuente. A costo zero, si darebbe un grande impulso alla crescita economica. Si potrebbe introdurre poi il principio del loss carry back, spalmando gli utili e le perdite dell’impresa nell’arco di due anni di esercizio. Poiché nel 2020 la perdita è sicura, si potrebbe restituire alle imprese l’ammontare delle tasse anticipate nel 2019. Si potrebbero sbloccare i cantieri delle grandi opere, impaludati nello “Stige” degli infiniti controlli preventivi. I cantieri sono bloccati non già per irregolarità in atto, ma per la semplice paura che possa sortirne la “corruzione” futura. Insomma: non facciamo figli per evitare che muoiano; oppure “non date soldi all’Italia, perché potrebbero finire in mano ai mafiosi”.

La paura che blocca l’Italia non è quella del Coronavirus, bensì la paura che l’uomo–persona possa agire liberamente. Invero, la concezione comunista dell’uomo e dei rapporti sociali si può sintetizzare nella paura della libera iniziativa individuale. Oggi che i guasti provocati da questa paura, portata fino alle estreme conseguenze (fino agli arresti domiciliari generalizzati), sono resi evidenti in circostanze eccezionali, gli Italiani hanno finalmente l’opportunità di fare cadere il “muro di Roma”, forse ancora più tetragono del “muro di Berlino”.

Aggiornato il 20 aprile 2020 alle ore 11:45