Bene che vada sarà un inferno

Ammesso che tutto fili liscio, il 2020 sarà tra i peggiori della nostra storia, del resto il Fmi con stime tutto sommato ottimistiche parla di un Pil in precipizio di oltre il 9 per cento. Parliamo di ottimismo per due ragioni, la prima perché non tiene conto di un prolungamento dell’emergenza oltre il 31 luglio, la seconda e probabilmente più importante, dell’inadeguatezza di un governo che non è all’altezza. Tanto è vero che almeno fino ad ora, della potenza di fuoco annunciata dal premier si è vista solo quella dell’inferno che circonda il sistema paese, visto che del resto ancora poco per non dire niente. Qui non si tratta esclusivamente delle promesse che a tutt’oggi sono in alto mare, mentre scriviamo nessuno ha avuto un euro in più sul conto, si tratta della totale assenza di una strategia chiara per il contrasto prima ed il rilancio poi di un sistema giunto al limite di sopravvivenza. Per farla breve mentre altrove, dall’America, all’Inghilterra, alla Germania, al Giappone e così via, si è provveduto a recapitare soldi per tutti sulle scrivanie, a garantire bonus fiscali, eliminare filtri burocratici, saltare passaggi amministrativi, da noi siamo all’anno zero o quasi. Insomma, come abbiamo scritto annunci tanti ma fatti pochi, tanto è vero che viene da pensare a quelle anatre che starnazzano nello stagno alzando una colonna di schizzi, ma restano dove sono, perché anziché una scia del movimento gli schizzi certificano solo l’assenza di avanzamento.

È una metafora della nostra situazione fatta di promesse roboanti, di proclami miliardari e incentivi straordinari, che alla prova del nove e come se dicessero nulla si muove perché tutt’ora siamo in attesa che gli impegni garantiti vengano erogati per essere utilizzati. Tutto ciò non solo è insopportabile in linea di principio ma la testimonianza dell’impreparazione del governo a fronteggiare sul fronte dell’economia una crisi che a differenza della pandemia non è né sconosciuta né inaspettata. Innanzitutto perché di shock economici e produttivi in passato ce ne sono stati eccome e poi perché era del tutto evidente che in conseguenza alle misure per la pandemia sarebbero arrivate quelle dell’economia. Ecco perché in questi casi la tempestività, la valutazione preventiva, la messa in atto di tutti gli ancoraggi per la tenuta economica e finanziaria del sistema non possono essere né affidati all’approssimazione, né alla limitazione timorosa, né alla confusione sulla necessità di spesa. Per questo è dall’inizio dell’emergenza sanitaria che si sarebbe dovuto lanciare contemporaneamente un piano d’interventi sull’economia senza precedenti nel senso vero, dunque sul fisco, sulla burocrazia, sulla semplificazione all’accesso e alla fruizione. Del resto è elementare la considerazione che quando si impone un blocco delle attività e della fatturazione, la prima crisi sia di liquidità, agli adempimenti, all’esecuzione dei mille obblighi e tormenti di un sistema che al posto di aiutare genera un patema. Di fronte a questo la risposta non può essere l’annuncio di un prestito tutto da trattare con il filtro delle banche, oppure il trasferimento di due mesi delle scadenze fiscali, o l’incontro coi sindacati per avviare la Cigs, o il contatto con l’Inps che non funziona, la minuzia di 600 euro.

Queste soluzioni rappresentano né più né meno il solito armamentario all’italiana fatto di passaggi, filtri e mille domande, giustificazioni e complicazioni, insomma di nuovo e senza precedenti un bel niente, solo una procedura ulteriore per la gente. Per non dire che non prevedere una erogazione a fondo perduto è una presa in giro rispetto all’accaduto, un’offesa alla logica, perché chi è stato chiuso per mesi e ha subito un danno suo malgrado va ristorato almeno in proporzione, compensato sulla non fatturazione. Sul prestito è lo stesso, non dovrebbe essere subordinato a nessuna trattativa, ci mancherebbe che in un dramma ci si debba mettere a trattare, deve essere lo Stato a vedersela con le banche per ogni pratica, ai cittadini dovrebbe spettare solamente di dare il numero del conto corrente e l’erogazione non dovrebbe costargli niente, parliamo di zero. Zero per l’istruttoria, per l’apertura, per le commissioni, per gli interessi, per la tenuta del conto, e la restituzione andrebbe cucita sulle esigenze del ricevente, in rata e tempi, altro che 6 anni. E poi vogliamo parlare del fisco, che in questi giorni e in sordina ha allungato a 7 anni l’accertamento, aumentato la possibilità di escutere senza l’ok del magistrato, l’accesso diretto in banca senza condizioni, è passato dallo sceriffo di Nottingham a Torquemada, e in cambio ha offerto la dilazione ridicola di due mesi per le scadenze, alla faccia della crisi e del fisco amico.

In questo viaggio all’inferno che viviamo lo Stato dovrebbe azzerare in proporzione gli esborsi, rateizzare in concordato il rimanente, ampliare ogni compensazione senza condizione, andare incontro alle aziende, a giugno i prestiti concessi serviranno a malapena a pagare il corrente figuriamoci i pregressi. Ecco perché diciamo che di “potenza di fuoco” si vede solo quella dell’inferno che sta intorno, che il nostro per l’economia è un modello al contrario altroché straordinario, che assieme al decreto limita libertà avrebbe dovuto esserci quello limita vincoli, fisco, burocrazia, così sarebbe stato senza precedenti. Qui non serve mettere in mezzo mille cose d’ effetto, le app, le password moltiplicate, le novità della tecnologia, gli smartphone e quel che sia, serve solo la semplicità di un tempo, quella dei chiodi e delle viti, serve una domanda e una risposta immediata, soldi sul conto e niente adempimenti, punto. L’unica parola d’ordine è quella di Mario Draghi, Whatever it takes, tutto il resto sono chiacchiere e un po’ di balle, del Pd, Italia Viva e i Cinque Stelle.

Aggiornato il 15 aprile 2020 alle ore 15:01