
È tuttavia evidente da come vengono governate le risorse, che questa crisi creerà nuove e più profonde diseguaglianze, sia economiche che sociali nella nostra nazione. Quando si pensa alla “Livella”, la famosa e bellissima poesia di Totò, si pensa alla morte, alla falce che tutto livella, il momento in cui il ricco e il povero diventano irrimediabilmente uguali. Ma non è questo ciò di cui vogliamo parlare, perché se è vero che per le vittime Del Coronavirus purtroppo si realizzerà quanto indicato in quei versi, in ben altra direzione andrà, e sta andando, la gestione italiana della crisi, quella che gli ineffabili personaggi del tragico reality show che va in onda ogni sera alle 18 e, talvolta, a sorpresa, su Facebook o Rai Uno, chiamano modello Italia.
Un modello che ormai all’estero prendono in considerazione, come nel caso della Harvard Business Review: “Lessons from Italy’s Response to Coronavirus”, solo per prendere spunto su cosa non fare nel caso in cui si debba fronteggiare una disgrazia del genere. Il modello Italia è diventato, in pratica, il compendio degli errori, il “worst case” della letteratura gestionale che raggiunge vette impareggiabili quando mostra la consapevolezza del nostro capo della Protezione civile Angelo Borrelli: “Il virus è più veloce della nostra burocrazia” che, tuttavia, è componente di vertice di questo sistema malato. La gestione del mondo economico e produttivo non è migliore, si è passato più volte dalla negazione del problema, alla sua affermazione, dall’idea delle chiusure parziali e circoscritte ai territori con i maggiori focolai, alla chiusura indistinta di tutte le attività non essenziali, definite queste senza la minima analisi sulla sicurezza sui posti di lavoro, ma su base ideologica, come abbiamo già denunciato in altri articoli, andando dietro alle nuove tendenze pauperiste di una classe politica forse neo-marxista, forse semplicemente incompetente, e ad un sindacato che farebbe rivoltare nella tomba i Luciano Lama e Pierre Carniti di una volta, e non sappiamo quanto possano piacere a Giorgio Benvenuto che lotta ancora assieme a noi e a cui auguriamo lunga vita.
La situazione che è stata generata da questo misto di incompetenza e ideologia, questo va detto senza ipocrisia e da tutte le parti, colpisce più alcune fasce della popolazione e meno altre, più protette e meno esposte economicamente. I più colpiti sono, come sempre, i neo disoccupati e i disoccupati non percettori di alcun sussidio o reddito di cittadinanza. A questi sono stati aggiunti, anche da più ministri di questo Governo, i percettori di redditi in nero che, attualmente, sono per forza di cose, fermi in tutti i sensi. Su questi e sulla concentrazione di questi al sud, si è aperta anche una querelle più che legittima, a seconda dei punti di vista, che stigmatizza l’ipotesi di aiuto a questi soggetti da parte dello Stato che, in presenza di risorse scarse, si troverebbe a distrarne una parte per premiare chi evade il fisco, a discapito di chi le tasse le paga davvero e con sacrificio.
È tuttavia innegabile che molti di questi soggetti, lavoratori in nero o onesti contribuenti indifferentemente, rischiano di finire per fame nelle mani della criminalità organizzata o di usurai o altri malintenzionati in cerca di occasioni da avvoltoio, se il Governo continua ad anteporre procedure burocratiche e contorte a interventi diretti sul conto corrente delle persone, assolutamente possibili dal punto di vista tecnico. E nelle mani di soggetti criminosi o alla fame rischiano di finire piccoli imprenditori, autonomi, professionisti con attività precarie, ma anche dipendenti di micro-aziende, oppure anche dipendenti in nero in zone dove questa è l’unica fonte di sostentamento, perché altre non ce n’è. E poi, per rimanere anche nell’alveo delle cosiddette attività essenziali, ci sono i lavoratori del comparto agricolo che fra poco vivrà una crisi in corrispondenza con i grandi raccolti primaverili o con le attività di trapianto di numerose colture con maturazione estiva, il ministro delle Politiche Agricole Alimentari E Forestali Teresa Bellanova ha già chiesto l’utilizzo per queste attività, per le quali non si trova più manodopera immigrata e nemmeno italiana, dei percettori del reddito di cittadinanza, senza dubbio ha ragione da vendere e auspichiamo che le si dia retta nel più breve tempo possibile, dando anche un segnale a chi avesse scambiato quel sussidio come fonte di inerzia remunerata e non come attività volta alla ricerca di un lavoro.
Rischiano meno i lavoratori stabili di aziende non chiuse, anche se va precisato che talvolta le crisi si propagano con modalità intersettoriali e si riversano, soprattutto se le chiusure dovessero continuare ancora a lungo, in settori per cui si danno inizialmente per scontate solidità e remuneratività. Su questo punto va dato un monito profondo al Governo. A rischiare moltissimo sono le società come quelle ad alta tecnologia, chiuse perché non essenziali dall’ideologia unica della nuova casta governativa al potere, come la Acciai Speciali Terni, il cui amministratore delegato, Massimiliano Burelli, in un’intervista ha spiegato come altre aziende europee del suo settore, in questo periodo di chiusura aziendale unilaterale italiano, gli stiano rubando quote di mercato tanto da mettere a repentaglio i posti di lavoro in una delle eccellenze italiane che conta “2.350 dipendenti a libro matricola, un centinaio di interinali e poi altri 600 terzisti che lavorano su base continuativa”. Scusi signor presidente del Consiglio, ma la crisi non era simmetrica? Non sono chiuse anche le altre economie? Non hanno fatto come il magnifico modello Italia che ha fatto scuola all’estero? Rischiano poco o niente, a meno di fallimento dell’intero sistema Italia, gli statali e i dipendenti di società controllate e partecipate dallo Stato e dagli enti pubblici.
E sono soprattutto queste tipologie di aziende, che dovrebbero essere aperte per definizione (se non fossero essenziali, perché dovrebbero essere di proprietà dello Stato o partecipate dallo stesso?), avere una responsabilità più delle altre nel tentativo di mantenere vive determinate attività o farle ripartire al più presto con piani ad hoc, comprendenti anche protocolli per la sicurezza, per la formulazione dei quali non dovrebbero mancare loro competenze interne, e se così non fosse, sarebbe estremamente grave per i loro amministratori e i loro manager diretti, grave al punto di chiedersi se siano degni di governare le macchine complesse che sono state loro affidate. Molte hanno intrapreso meritevoli azioni di beneficienza, di formazione a tappeto dei dipendenti (ci auguriamo limitata a funzioni non tali da rallentare il lavoro) e altre iniziative più o meno valide.
Ciò che ci si deve legittimamente aspettare da loro, in questo periodo di probabile moratoria del rinnovo delle nomine o di (quasi) luna di miele di nomine appena fatte, è che stiano lavorando pancia a terra per far proseguire i lavori che possono, facendo sì che la crisi non si propaghi ai loro fornitori, all’indotto che, per alcune attività, supera talvolta in numero di dipendenti della società appaltante. Oppure che stiano lavorando a piani di rilancio o a nuovi protocolli di sicurezza e procedure che consentano di ripartire al più presto e non si stiano adagiando su una pace per cui, alla fine, tutti contenti, tanto lo stipendio non glielo leva e ritarda nessuno. Sarebbe assai grave e occorrerebbe darne poi conto alla fine di questo percorso. È tuttavia evidente, fin da adesso, per come vengono governate le risorse, che questa crisi creerà nuove e più profonde diseguaglianze sia economiche che sociali nella nostra nazione.
E questo in barba alla narrazione prevalente sui social network, dove brulicano messaggi, non si sa quanto sinceri o quanto parte di strategie di comunicazione di parte, volti a promuovere l’immagine di un’Italia che ce la fa da sola, dopo essere stata esclusa dagli altri, nonostante la crisi sanitaria ci abbia coinvolti tutti, come per l’appunto una “Livella”, e gli ingrati ed egoisti tedeschi ci hanno rifiutato. Oltre ad essere falsa la narrazione iniziale, è falsa anche quella finale, non esiste un lieto fine e si capisce già adesso per come si stanno impostando le cose e per l’inerzia nel programmare con serietà la via d’uscita da parte del Governo. Un gioco rischioso, che rischia di ledere rovinosamente il tessuto sociale italiano, di approfondire ulteriormente il già abissale divario fra nord e sud della nazione, ad accrescere la divisione sociale, ed il conflitto, sempre più concentrato verso il basso, verso le classi più umili, impegnate in lotte fra poveri, da cui nascono poi quelle richieste di sicurezza e di qualunquismo verso partiti e movimenti politici sempre più semplicistici, incompetenti e impossibilitati per definizione a risolvere situazioni complesse, in una dinamica simile al cane che si agita per mordersi la coda. “Etiam periere ruinae”: alla fine sono cadute pure le rovine, diceva un vecchio adagio latino attribuito a Giulio Cesare. È ciò che stiamo rischiando tutti noi italiani. È questa la vera Livella a cui siamo destinati? È questo il nuovo “modello Italia” che tutto il mondo ci invidierà?
Caro presidente del Consiglio Giuseppe Conte, visto che ci sta condannando a soccombere per Lei, ci faccia la cortesia, risponda almeno a queste semplici domandine:
1) Avendo emanato la “Delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020”, con la quale ha dichiarato, “per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, ritiene che le azioni da Lei messe in campo nelle settimane successive siano state sufficienti, o almeno funzionali al contenimento di questa emergenza internazionale o non ha per caso deliberato come atto dovuto, sottovalutando il fenomeno stesso?
2) Perché, data l’emergenza, il fatto che i primi focolai di contagio fossero estremamente localizzati e che da più parti (nel settore medico) si stesse avvisando il Governo sulla crisi cui sarebbero inevitabilmente andate incontro le strutture sanitarie in assenza di un intervento immediato, non ha predisposto risorse e mezzi, concentrandoli sui focolai, consentendo di effettuare il massimo sforzo per cercare di circoscrivere il fenomeno in modo da renderlo gestibile e, al contempo tenere aperte la attività produttive nelle altre regioni italiane?
3) Perché, relativamente al tema ella disponibilità di mascherine, altri dispositivi di protezione individuale, ventilatori per gli ospedali, non ha proceduto all’utilizzo di strumenti persuasivi o coercitivi nei confronti di aziende produttrici, in modo che questi dispositivi e strumenti fossero messi a disposizione in tempi brevi e utili alla gestione della crisi e ha invece usato lo strumento delle gare Consip, generando ulteriori ritardi di tipo burocratico?
4) Perché non ha chiesto immediatamente alle Forze armate di allestire in tempi brevissimi e con criteri di potenziale mobilità delle strutture, ospedali da campo per questa necessità, quando ogni italiano sa che il nostro Esercito è perfettamente in grado di operare in tal senso, visto che lo fa ordinariamente in veste di forza di pace in zone di guerra?
5) Perché non ha reso immediatamente disponibili in conto corrente risorse monetarie ai cittadini e alle imprese, sulla base di criteri semplici e facilmente verificabili posteriormente in caso di abusi, ma ha scelto procedure burocratiche tortuose, inevitabilmente destinate a generare ulteriori ritardi, sofferenze e rinunce a riaprire attività produttive alla fine di questo percorso?
6) Perché, dato l’impegno da parte della Bce, di acquistare titoli del debito italiano fino ad un importo di 220 miliardi, non ha intanto iniziato ad attingere da questa fonte, peraltro calmierata quanto ad interessi, voce enorme del nostro debito pubblico, per alleviare la situazione economica italiana, ingaggiando un duello polemico tanto sterile, quanto burocraticamente complesso e certamente lungo nei tempi, con altre istituzioni europee su fantomatici Coronabond?
7) È vero che superando la Sua vera, o presunta, iniziale ritrosia, sta fondando un proprio partito o movimento politico con cui candidarsi direttamente o sta mettendo a capo di uno già esistente?
Aggiornato il 02 aprile 2020 alle ore 11:39