Gli errori commessi dal Movimento 5 stelle da quando è al governo sono numerosi, hanno prodotto danni al paese ed anche a loro stessi avendo subito nelle ultime competizioni elettorali una notevole perdita di consenso, che è già costato il posto al capo politico Luigi Di Maio. Tuttavia, questi errori dipendono essenzialmente dal fatto che il loro bagaglio d’esperienza di governo è veramente minimo: infatti, è solo da giugno del 2018, quindi, da meno di due anni, che sono entrati nella sala comando di Palazzo Chigi.

Quindi, premesso che chi governa il Paese è bene che di errori ne commetta il meno possibile, tuttavia, è comprensibile che un gruppo politico, di base così grezzo, al potere da poco tempo, possa commettere degli errori, anche se, ovviamente, dipende poi dal tipo di errore, perché, come è noto, la funzione di governo si manifesta attraverso decisioni politico-amministrative che devono guidare il Paese assicurando il rigoroso rispetto del principio della prevalenza dell’interesse pubblico, in modo che vengano conseguentemente adottati provvedimenti che, in astratto, devono tendere al bene comune ma che, concretamente, possono anche non soddisfare la comunità, con diretta incidenza sul gradimento popolare.

Tra i meriti del Movimento, prima di diventare forza di governo, c’è anche quello di avere tenuto “sotto controllo” la “protesta” che si era diffusa qualche anno fa contro le tradizionali forze politiche che hanno lasciato in eredità un Paese non in perfetta salute e con un debito pubblico enorme. Tuttavia, come segnalato niente meno che da Beppe Grillo in persona, da quando il movimento è entrato nelle stanze del potere si è dovuto necessariamente “trasformare”, nel senso che, avrà forse voluto dire il buon vecchio Beppe, si è dovuto inesorabilmente adattare al principio secondo cui l’azione di governo comporta l’assunzione di responsabilità che, nel medio termine, producono effetti molto diversi dai risultati politici che si possono ottenere attraverso l’uso esasperato dei toni da opposizione attorno ai quali il movimento è nato, su cui ha consolidato il proprio elettorato nel corso degli anni e nei cui panni è certamente molto di più a suo agio.

Quindi, anche i cinque stelle si sono dovuti misurare con gli strumenti di ordine pratico attraverso cui il Paese va portato avanti, quali le nomine, le leggi, i decreti, gli accordi internazionali, le trattative con l’Ue, con le parti sociali e quant’altro concorre a costituire l’azione di governo complessivamente intesa. Tuttavia, la loro inesperienza li espone facilmente alle cannonate delle altre forze politiche, tanto di destra quanto di sinistra, tra i quali ci sono alcuni soggetti che, da soli, hanno, politicamente, più pelo sullo stomaco di tutto il movimento messo insieme, anche perché dotati di maggior peso mediatico a disposizione. E nonostante la lodevole battaglia per una maggiore moralità nella politica, tuttavia, è evidente che il Movimento è attraversato da uno tsunami se il suo gradimento nel Paese è passato dal 35 per cento al 15 per cento in poco più di un anno ed ha già silurato il capo politico due mesi fa.

Inoltre, un possibile errore di “posizionamento” sullo scacchiere internazionale potrebbe essere stato commesso il 23 marzo 2019, quindi, esattamente un anno fa, quando Conte ha sottoscritto gli accordi con la Cina per sostenere la cosiddetta “Nuova Via della Seta”, un affare da mille miliardi di dollari messi sul piatto dalla Cina da destinare agli investimenti, soprattutto, in ambito energetico e nel settore strategico delle telecomunicazioni. Con quella manovra, dalle forti implicazioni politiche e commerciali, il governo potrebbe avere esposto un po’ troppo il Paese senza avere adeguate coperture internazionali, mettendosi, più o meno inconsapevolmente, sotto un fuoco incrociato e nel bel mezzo di uno scontro tra titani.

E questo perché, in quel momento, era in corso la durissima “guerra dei dazi” tra Usa e Cina, iniziata nel marzo del 2018 e con 200 miliardi di dollari in ballo e, in quel momento, il governo italiano ha almeno dato l’impressione di privilegiare le relazioni e l’interscambio commerciale con la Cina facendo “da sponda”, non allo storico alleato americano, come era lecito aspettarsi, bensì al suo acerrimo nemico cinese che aveva appena dato una bella stangata ai prodotti made in Usa per via dell’aumento incrociato delle misure protezionistiche tra le prime due economie al mondo.

Poiché, in quel momento, gli Stati Uniti avevano addirittura iscritto la Cina nella “black list” dei Paesi accusati di manipolare la moneta americana, l’ostilità degli States all’accordo era notoria, così come altrettanto nota era l’ostilità della Ue che aveva definito la Cina “un partner ma anche un rivale sistemico”. Anche l’allora alleato leghista Matteo Salvini, pur facendo parte del governo, aveva espresso le proprie perplessità al riguardo proprio per la comune appartenenza al cosiddetto “Patto Atlantico” ed anche per evitare “colonizzazioni da parte della Cina”.

Quindi, il contesto non era dei migliori stante la guerra commerciale tra le due super potenze economiche conclusasi solo nel gennaio di quest’anno con la vittoria degli Stati Uniti sulla Cina che si è impegnata ad acquistare 200 miliardi di dollari in prodotti americani in due anni. Il governo è sembrato però privo dell’esperienza politica necessaria per gestire situazioni del genere, poiché Washington e Bruxelles avevano sconsigliato trattative bilaterali tra Cina eh Italia ed anche la lega non era apparsa del tutto convinta di questa trattativa fortemente voluta da Luigi Di Maio. Nonostante questi segnali negativi, Conte ha comunque sottoscritto gli accordi che, peraltro, giacevano sul tavolo già dal 2013 e che i precedenti governi non si erano particolarmente “industriati” dal portarli in porto fino almeno a quando al ministero dello Sviluppo Economico è arrivato Di Maio.

La conclusione è che, sebbene le crociate contro i “politici di professione” non siano del tutto sbagliate perché in Italia forse ne abbiamo avuti un po’ troppi, tuttavia, i politici della cosiddetta “prima repubblica” non avrebbero mai commesso errori del genere, anche se su alcuni di loro si sono abbattute delle tempeste giudiziarie che ne hanno intaccato prestigio ed autorevolezza. Ma sono errori politici che non avrebbero commesso nemmeno molti politici della cosiddetta “Seconda Repubblica”, soprattutto se dotati di maggiore esperienza politica e delle giuste coperture a livello internazionale. Curiosamente sono proprio Stati Uniti (125mila), Italia (98mila) e Cina (82mila) ad avere pagato, fino a questo momento, il prezzo più alto in termini di contagi da Coronavirus a livello mondiale.

Un altro possibile errore del governo Conte che vi abbiamo già segnalato in un precedente articolo (dal titolo “Covid e responsabilità politico-mediatiche”), è stato la mancata chiusura dei comuni di Alzano Lombardo e Nembro, che a differenza di quanto accaduto per Codogno e Vo’ Euganeo, non sono stati tempestivamente dichiarati “zona rossa”, nonostante i numeri, la scienza, la Regione Lombardia, la logica ed il buon senso spingessero, tutti, per la chiusura di quest’area bergamasca che, se fosse stata blindata come avvenuto nell’area del Lodigiano, molto probabilmente avrebbe impedito che il contagio si propagasse a macchia d’olio al resto della Lombardia ed al resto d’Italia, giungendo ai numeri odierni, incredibilmente elevati sia in termini di contagi sia in termini di decessi.

Tuttavia, in epoca di Covid-19, bisogna sospendere i giudizi in attesa di capire come ne verrà fuori l’Italia, ma anche come verranno l’Europa ed il mondo intero dalla tremenda situazione che stiamo vivendo in questi giorni. Infatti, così come non è corretto sparare sulla croce rossa, non è nemmeno corretto cadere nella tentazione di “auto assolversi” solo perché ci si è trovati a gestire inaspettate situazioni d’emergenza, perché il saldo potrebbe essere negativo.

Aggiornato il 31 marzo 2020 alle ore 11:40