Si avvicina il giorno del giudizio per Emilia-Romagna e Calabria, dove domani si terranno le elezioni regionali per il rinnovo del presidente della Giunta e i componenti dell’assemblea legislativa. Della Calabria, in verità, si è parlato molto poco a livello nazionale, mentre tutti i riflettori sono puntati sulla competizione in Emilia-Romagna.
I sondaggi al 10 gennaio, giorno in cui è scattato il divieto di divulgazione delle intenzioni di voto, davano leggermente in testa il candidato del Partito Democratico, il governatore uscente Stefano Bonaccini, sulla candidata del centrodestra Lucia Borgonzoni, attualmente senatrice in quota Lega. Lo scarto davvero minimo tra i due rivali lascia comunque nell’incertezza l’esito delle urne e a risultare decisive potrebbero essere le scelte degli elettori del Movimento Cinque Stelle.
Luigi Di Maio aveva detto no alla lista unica con il Pd in Emilia-Romagna, dopo l’esperienza negativa dell’Umbria. Ma il suo tentativo di rilanciare i pentastellati come identità indipendente, e di salvare in tal modo le sue stesse sorti come capo politico allontanando lo spettro delle dimissioni, si è infranto sull’ostilità irriducibile dell’opposizione interna. Con la regia di Beppe Grillo, il via libera di Davide Casaleggio e la compiacenza del premier Giuseppe Conte, il Movimento Cinque Stelle si appresta così ad essere fagocitato dal Pd, accettando definitivamente un ruolo subalterno nell’ambito dell’alleanza giallorossa?
Dopo quello umbro, un tracollo in Emilia-Romagna potrebbe dunque essere benvisto ai piani alti del partito e a Palazzo Chigi, se la dispersione dei voti dovesse favorire gli alleati di governo nella contrapposizione al centrodestra sovranista-populista. Quest’ultimo, d’altro canto, spera a sua volta di riuscire a capitalizzare sulla possibile emorragia dei voti provenienti dal fronte pentastellato.
I principali partiti del centrodestra sono in crescita su scala nazionale, soprattutto Fratelli d’Italia, e c’è la speranza che tale andamento positivo conduca al risultato storico di strappare finalmente l’Emilia-Romagna all’egemonia della sinistra. Tuttavia, resta da verificare quale sarà l’efficacia alle urne delle ultime mosse di Matteo Salvini in campagna elettorale.
La riconferma della Lega come primo partito, risultato conseguito alle scorse elezioni europee, potrebbe non bastare a sconfiggere Bonaccini. Serve qualche punto percentuale in più, ma l’aver raccolto la sfida delle “Sardine” nelle piazze, in tv e con il “porta a porta”, rischia di fare il gioco del Pd, padre (e manovratore) ormai non più occulto di Mattia Santori e compagni, non giovando nel guadagno di nuovi consensi indispensabili a garantire l’affermazione di Borgonzoni.
Inoltre, una vittoria del centrodestra in Emilia-Romagna, anche se accompagnata da quella di Jole Santelli contro Pippo Callipo in Calabria, difficilmente avrebbe le ripercussioni auspicate sul piano nazionale. Il governo giallorosso, sempre più solo rosso, perderebbe ulteriore legittimità democratica, se mai ne ha avuto una, ma questa non sembra una ragione sufficiente a indurre il Quirinale ad avallare le elezioni anticipate, altrimenti non avrebbe già in alcun modo acconsentito alla nascita del Conte-bis.
Il Presidente del Consiglio, sempre più a disagio nei consessi internazionali, ostenta invece sicurezza nelle vicende di politica interna. Dando il bye-bye a Di Maio, il “falco” ha dichiarato che le dimissioni del ministro degli Esteri da capo politico del Movimento Cinque Stelle non intaccano la tenuta dell’esecutivo, che durerà fino alla fine del mandato nel 2023. È pressoché impossibile, pertanto, che qualcuno riesca a convincere Conte dell’opportunità di sottoporsi direttamente al giudizio degli italiani, anche se il centrodestra dovesse confermarsi maggioranza nel Paese dopo questa tornata elettorale.
Aggiornato il 25 gennaio 2020 alle ore 15:15