
L’invito rivolto da Matteo Salvini ai “suoi”, con il quale chiede di votare a favore della autorizzazione a procedere, non mi piace. Lo comprendo, e ne colgo l’intenzione provocatoria e per altro verso la logica ispirata alla realpolitik (Salvini, come chiunque altro, sa fare di conto...), ma non posso condividere.
In primo luogo, non tutto si riduce a propaganda e non tutto è un gioco. Sebbene io stesso abbia, in più occasioni, presentato richiesta di giudizio immediato allo scopo di saltare l’udienza preliminare (e, quindi, non sia alieno dal cogliere la natura strategica della scelta), in questo caso mi comporterei diversamente, vista la differenza delle circostanze. Qui, infatti, non si decide sulla sussistenza di elementi per andare al giudizio del Tribunale, ma della ricorrenza delle condizioni legittimanti l’autorizzazione a procedere. Condizioni alla cui verifica, anche ad ammettere l’esito scontato del voto, mai rinuncerei, anche in vista delle successive difese.
Il merito, oggi, è lontano mille miglia, ma nulla vieta (anzi: io lo esigerei) che quelle condizioni siano messe in relazione al delitto in addebito, per saggiare - su un piano diverso - la resistenza dell’Accusa ad una preliminare ricognizione sulla qualificazione giuridica dei fatti.
Infine, il giudizio del Senato è politico e, qui, si tratta di condotte alle quali la riduzione ad un fatto codicistico male si attaglia, o non si attaglia del tutto.
D’altra parte, tutti - i pro e i contro Salvini - si limitano a fare valutazioni politiche, o, meglio, elettorali. Ma gli avversari di Salvini, al solito, sono un po’ peggio, perché, more solito, vogliono raggiungere lo scopo politico per via giudiziaria, non potendolo fare con la matita copiativa.
Sono sempre gli stessi; non cambiano mai. Garantisti ad intermittenza. Vendicativi.
In una parola: ignobili. Matteo, ascolta un cretino: difenditi.
Aggiornato il 21 gennaio 2020 alle ore 11:56