
Il semplice fatto che un governo viva appeso al risultato elettorale in una regione, l’Emilia-Romagna, la dice lunga sulla fragilità e sull’insussistenza della maggioranza che lo sostiene. Qui non si tratta solo dei contrasti e delle divisioni su tutto tranne che sul danno da scaricare in capo agli italiani, si tratta della mancanza di un progetto minimo sul come guidare il Paese in un passaggio così difficile da richiedere una capacità e una autorevolezza che i giallorossi si sognano d’avere. Sia chiaro, forse in Emilia Romagna la sinistra riuscirà a sfangarla, ma con uno scarto che solamente qualche anno fa sarebbe stato impensabile. Infatti, vincere di qualche punto non potrà che confermare lo smembramento della storica, forza bulgara del Pci-Pds-Ds-Pd in quella regione.
Ammesso che sia, la vittoria non risolverà le fragilità dell’alleanza di un governo tormentato dall’evaporazione dei grillini e dalle crisi e scissioni dentro un Pd sempre più debole e sbandato. Ecco perché questo esecutivo procede al buio e nella terra di nessuno mentre il Paese scivola pericolosamente in un cul de sac sia nel quadro macroeconomico e sia nel teatro internazionale infuocato sui fronti libici e mediorientali, dopo gli ultimi accadimenti. Tanto al buio da correre il rischio di essere completamente tagliato fuori dalle trattative in Libia e dagli altri tavoli dopo l’intervento Usa con l’uccisione del generale Soleimani. Insomma, ai margini rispetto a Francia, Russia, Turchia, per non parlare dell’America.
Per farla breve, potremmo ritrovarci a pagare cari i costi dell’escalation militare su tutti i fronti senza trarre alcun beneficio dalle soluzioni finali che tutti auspichiamo rapide e ovviamente pacifiche e diplomatiche. Sia chiaro, il problema non è solo l’inadeguatezza di Luigi Di Maio e l’ordine sparso con cui l’Europa procede dimostrando ancora una volta i limiti di un consesso che non ha una difesa e una politica internazionale comune, ma è la mancanza di capacità e autorevolezza di tutto il Conte bis.
In estate erano già noti i focolai riaccesi sul fronte libico, come la linea durissima di Donald Trump verso Teheran e il disegno militare ed egemone crescente di Recep Tayyip Erdoğan, dunque si doveva prevedere la nascita di un governo che avrebbe dovuto essere forte, coeso e capace nell’azione internazionale. Al contrario, per la paura che col voto vincesse il centrodestra, si è preferito mettere in piedi una maggioranza ed un esecutivo privo di bussola, di armonia, di esperienza e di consenso reale, che chiaramente non sarebbe stato in grado né di risolvere la crisi economica né di tenere testa a quella internazionale.
Ecco perché iniziamo il 2020 nella terra di nessuno, con una maggioranza in decomposizione, vittima dei contrasti e dei ricatti politici incrociati, appesa al filo di seta delle regionali, incapace di affrontare e risolvere i tavoli di crisi interni ed esterni, esposta alla scarsa credibilità dei mercati e dei partner. Eppure, era tutto previsto e prevedibile, ciò che accade non può considerarsi un fulmine a ciel sereno, dall’Ilva, all’Alitalia, al Mes, alla Libia, alle posizioni di Trump, ai dazi, alla Cina, al fronte migratorio.
Per queste ragioni, è stato un azzardo lasciare che il Paese fosse governato da una maggioranza simile, che fino ad ora ha scodellato una Finanziaria autolesionista, inimicizie estere, immobilismo tattico e strategico, malessere e malumori dentro e fuori del paese. Resta l’auspicio che la diplomazia blocchi l’escalation militare, che il prezzo da pagare non sia salato, che col voto delle regionali comunque vada, ci si renda conto che per il bene del Paese serve un governo e una maggioranza forte e coesa nata dal voto degli italiani e non dall’ipocrisia.
Aggiornato il 08 gennaio 2020 alle ore 12:05