Il partito dei magistrati colpisce in alto

Appena un anno fa, quando mi accadeva di nominare il Partito dei magistrati, notavo nei miei interlocutori qualcosa tra il divertimento ed il fastidio delle esagerazioni. Oggi ho visto queste parole anche in qualche titolo di giornale. Che cosa significhino lo capiscono tutti e quasi tutti ammettono che il Pdm è qualcosa di reale. Pochi, troppo pochi, sono però quelli che si rendono conto del ruolo primario (e negativo) di tale partito nella vita del nostro Paese.

Ma in questi giorni tutti debbono (o dovrebbero) prendere atto non solo dell’esistenza del Pdm, ma dell’operazione in corso da esso ingaggiata: l’attacco al vertice dello Stato, che da qualche tempo è considerato nelle mani dei suoi avversari. Ed al contempo è indubbio l’affermarsi della teoria fondamentale per il partito in questione per questa anomala entità politica, di questo mostro, che è, poi, prodotto dalla rottura degli equilibri su cui si fonda la Repubblica (ogni Repubblica). La pretesa, cioè, della preminenza e della superiorità della funzione giudiziaria, concepita come “cosa nostra” del partito delle toghe, su ogni altro potere dello Stato, Parlamento, Governo, legislativo compresi. Il Pdm, dicevo, è all’attacco.

Da tempo l’abuso del potere giudiziario era andato degenerando in una sorta di squadrismo togato. Colpire senza troppi scrupoli amministratori ed amministrazioni. Colpire per impaurire, per imporre un “salutare” timore reverenziale. E, al contempo, magari, procurarsi dei meriti nel campo politico tra nemici e concorrenti dei colpiti. Colpiti, magari, senza la minima probabilità di una sentenza, di una decisione di colpevolezza o, magari, senza una prova ed un pretesto. Quando la paura diventa paura anche del nulla, essa diventa terrore. E, proprio strumento di imposizione e di assoggettamento. A questo “squadrismo giudiziario”, fattosi più intenso e temuto negli ultimi tempi, ed in certe Regioni, è ora andato ad aggiungersi quello che, forse, è concepito come un colpo finale.

Che il Partito dei magistrati sia a caccia di due personaggi di “vertice”, di “chiave” della politica odierna: Matteo Salvini e Matteo Renzi, non sfugge più a nessuno. E per annunciare questa verità i titoli dei giornali non ne nascondono più l’altra: che a perseguitarli, appunto, è il Partito dei magistrati.

Io non pretendo certo che qualcuno si ricordi che di questi rilievi, di queste stesse espressioni sono io l’autore. Non è però una disputa letteraria. Ma in alcune considerazioni che sull’argomento io ho scritto già qualche anno fa, ci sarebbe forse da sperare di trovare ciò che occorre per poter resistere all’assalto e di trovare la via giusta per farlo. Ma se c’è un Partito dei magistrati è anche e soprattutto perché un po’ tutti vogliono cercare di convincere, anzitutto se stessi, che esso non è poi una cosa troppo seria e pericolosa. Ho inteso però il discorso di Matteo Renzi in Senato sul “suo” caso (che è poi il caso del Partito dei magistrati relativo alla sua persona). Non ho mai avuto simpatia né ho mai concepito un autentico giudizio positivo per questo personaggio della nostra politica. E il suo sciagurato colpo di mano per imporre quella riforma costituzionale da operetta, con il “senaticchio” ed il “gioco dell’oca” per le relative attribuzioni di partecipazione al potere legislativo ne hanno fatto per me una negativa icona della degenerazione politica italiana.

Ma il discorso di Renzi cui alludevo è stato un discorso di altissimo livello. Peccato che sia stato pronunziato solo proprio per il suo “caso” e con anni di ritardo. Per la prima volta ho inteso lanciare in un’aula del Parlamento l’ammonimento: “voi uccidete la democrazia e le istituzioni liberali”. Esagerazione? Retorica per salvare la propria pelle politica? Anche se così fosse non ne verrebbe meno il valore, l’opportunità, la necessità di non sottovalutarne la verità e la necessità di tenerne conto e di meditarci sopra.

Certo, questo discorso meriterebbe di essere integrato con tutto ciò che in quella occasione Renzi non ha detto e che forse non ha pienamente avvertito sulla questione del finanziamento dei partiti. Ha parlato di Bettino Craxi. E quindi del grande golpe giudiziario. Ha parlato del finanziamento dei partiti e di alcune vicende connesse con tale problema. Ma sarebbe, su tutto ciò, da scrivere un trattato.

La storia della nostra Repubblica è, in buona parte, storia del finanziamento dei partiti. Dal monopolio di Enrico Mattei e dell’Eni ad oggi non sono cambiati i termini ed i problemi primari, e l’importanza. Ma solo con il decorso degli anni si è “scoperto” il carattere delittuoso di certe prassi. E, mentre la storia di un po’ tutti i partiti è la storia del loro finanziamento, c’è da prendere atto, senza che tutti si voltino dall’altra parte, che la legge vigente sul finanziamento pubblico dei partiti è, in realtà, la legge contro il finanziamento privato, libero ed onesto. Con le conseguenze che si vedono. Una legge fatta per essere violata da chi tutto può. E da poter incriminare un po’ tutti. Tutti “gli altri”.

Aggiornato il 16 dicembre 2019 alle ore 13:17