Un governo che deve andare a casa

Vi ricordate le patetiche dichiarazioni dei vari Di Maio, Renzi, Zingaretti, Boldrini, per non parlare di “Giuseppi”, sui motivi per i quali questa maggioranza fosse l’unica soluzione per il bene del Paese? Bene. A riascoltarle oggi, alla luce di ciò che succede da due mesi, ci sarebbe materia da rivolta sociale. Nemmeno nella Repubblica delle banane accadrebbe tanto. Non fosse altro per il taglio ironico che oramai ha assunto il termine coniato dallo scrittore americano O. Henry nel secolo scorso. Qui infatti c’è poco da ironizzare visto che l’Italia rischia di sprofondare in un cul de sac da malgoverno da mettersi le mani tra i capelli per la disperazione. Peggio di così c’è la dissoluzione. Liti, accuse, minacce e vertici in continuazione, zig zag su tutto, si procede sotto il ricatto del voto, si cambia di sera quanto deciso la mattina, si vive nel sospetto di trappole incrociate, decisioni annunciate e poi smentite. Tutti contro tutti.

Qui non si tratta di una ricostruzione giornalistica forzata, fondata sul pregiudizio, si tratta della realtà quotidiana che vediamo e alla quale assistiamo sbigottiti, increduli per non dire esasperati e furibondi. Si tratta di una manovra diventata un noir tra cambiamenti e modifiche costanti, un taglia e cuci irritante con il solo comune denominatore dell’ossessione fiscale, delle manette, del groviglio burocratico e del timore di avere voglia d’investire. Una Finanziaria che per sterilizzare l’Iva per un anno, perché non è azzerata definitivamente ma temporaneamente. Dunque, nel 2020 saremo punto e a capo. Sta diventando una sciarada delle tasse, dei vincoli e degli intrighi di calcolo per i contribuenti.

Siamo di fronte ad un governo che ammette di non avere idee sul guaio enorme dell’ex Ilva generato dalle scelte demenziali dei grillini sullo scudo a favore di AlcelorMittal, come di non possedere soluzioni di mercato per l’Alitalia che rischia di diventare un Monte dei Paschi due, un salasso pubblico. Siamo nelle mani di una maggioranza che gioca sulle concessioni, su Atlantia, perché tra i cinquestelle e gli alleati non esiste uno straccio di sintesi comune, come non esiste sulla prescrizione che metterebbe a repentaglio le garanzie costituzionali del diritto alla difesa. Siamo finiti sotto botta di una coalizione che procede come una sorta di armata Brancaleone, chi annuncia una cosa e chi un’altra, basterebbe pensare allo Ius soli, all’accordo di Malta, a quota 100, all’alleanza elettorale, per non parlare dell’ultima e gravissima sul Mes, il fondo salva-Stati Ue. Eppure, ci è stato detto che questo governo nasceva non solo sui numeri parlamentari che la costituzione detta, ma sulla sintonia e sulla coerenza di un programma comune per il bene collettivo, una maggioranza coesa a sostegno dell’esecutivo.

Mentre scriviamo, nei grillini si è aperta una guerra fratricida come fosse fra bande, Italia viva è in fibrillazione per le inchieste giudiziarie, Zingaretti e il Pd sono in preda ad una crisi da paura elettorale e il premier Giuseppe Conte da trasformista sta diventando trapezista. Dentro il governo fra malumori, invidie, risentimenti e scaricabarile è una sorta di comari nel cortile, e sulle alleanze regionali c’è una spaccatura da nemici totali, serve altro? Eppure, nel mentre il Paese arranca, lo spread è risalito, la disoccupazione pure, il Pil è ingessato, il territorio è disastrato, gli investitori se ne vanno i giovani lo stesso, gli sbarchi aumentano, l’insicurezza anche, più che a Natale sembriamo vicini al diluvio universale. Ecco perché diciamo che questo governo deve andare a casa. Averlo messo in piedi con ipocrisia si sta dimostrando una pazzia. Non c’è coesione, non c’è programma, non c’è visione, non c’è una direzione giusta di futuro, c’è solo il rischio di schiantarsi contro un muro.

 

 

 

 

 

 

Aggiornato il 29 novembre 2019 alle ore 13:11