“È facile essere di destra. Significa seguire gli istinti e non il ragionamento. Essere di sinistra, invece, è più difficile perché gioca sul terreno della conoscenza degli argomenti”.
È la dichiarazione di Corrado Augias, non di qualcuno uscito dai centri sociali strafatto di canne, ma è il pensiero di una persona di cultura – anche se le sue posizioni intellettuali e religiose sono diametralmente opposte alle mie – che, tra l’altro, ha amicizie in comune di rilievo con chi scrive. Augias è persona amabile, dall’eloquio pronto e dalla battuta sapida, degna di rispetto anche in opposizione alle idee, ma…
Ma la “sentenza” da lui emessa, mi si permetta di opinarla e rigettarla, non già per ragioni ideologiche, sebbene il sottoscritto sia di destra la sua formazione culturale, intellettuale, religiosa e quant’altro è notoriamente abbastanza atipica. Da fiero individualista, da evoliano mai evolomane, da tradizionalista cattolico in odore perenne di eresia per simpatie ermetiche, avendo in uggia ogni atteggiamento che osanna “militanze” e altri deliri parafiliaci di una certa “destra” che mi è ontologicamente distante svariati parsec; per tutto questo e per innumerevoli altre ragioni, non solo non ritengo per nulla facile, oggi come non lo era quando ero più giovane, negli anni Ottanta, “essere di destra” in una società italiana dove esiste ancora l’equazione falsa e infondata “fascista=ignorante”. Premesso che sebbene mio nonno, grande invalido del Carso, Cavaliere di Vittorio Veneto e poi gerarca, podestà, fu fascista, come lo fu mio padre, nato nel 1925, uomo di lettere, umanista, amante dell’arte e del bel canto, io sia di destra, forse definirmi “fascista” sarebbe improprio, però lo sono diventato proprio per aver visto e constatato con i miei occhi gli obbrobri perpetrati dalla parte avversa durante la mia vita. Eppure fondamentalmente mi considero un “anarchico” di destra, non milito in nessuna formazione politica, sono – per dirla con le parole di Samuel Bellamy – “un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare”, senza tessere né servitù, soprattutto intellettuali.
Non seguo i miei istinti, egregio dottor Augias, non sono una “pecora matta” e preferisco “seguir virtute e canoscenza”, lei Dante lo conosce e lo apprezza, a differenza di molti altri che non l’hanno mai né letto né compreso. Seguo il “ragionamento”, sì, come hanno insegnato però Aristotele e Alberto Magno, come Giovanni Pico conte della Mirandola, non seguo la cieca “dea ragione” dell’Illuminismo volteriano, né il razionalismo tanto caro alle derive kantiane anche di destra.
Preferisco seguire il mio cuore, vera sede dell’Intelletto, che mi conduce alla nobiltà d’animo, alla pietas, alla compassione dei più deboli, ma anche all’onore, alla dignità e alla Conoscenza. Sì, perché vede, mio ottimo dottor Augias, esistono anche persone come me – e molti migliori di me, più sapienti e più anziani – che mi hanno educato, insegnato tutto questo, ad alcuni dei quali devo moltissimo, che hanno “conoscenza degli argomenti”, in maniera approfondita e ottima.
Insomma, essendo Lei persona di sopraffino intelletto, non cada nel subdolo tranello del “fare di tutta un’erba, un fascio” perché questo, sì, sarebbe “facile”… troppo facile e non posso e non voglio credere che Lei ami le cose facili.
Aggiornato il 21 novembre 2019 alle ore 11:26