Renzi? No, grazie

Uno dei temi ricorrenti, da quando Matteo Renzi ha fondato Italia viva è quello di chi dal centrodestra e, in particolare da Forza Italia, farà il salto della quaglia. Parliamo soprattutto di ex democristiani che, in quanto tali, hanno fatto del centro il luogo magico dell’opportunismo. Insomma, dello spazio che consente, in barba a ogni coerenza, di spostarsi a piacimento secondo convenienza. Con la sinistra poi la Dc ha storicamente sempre avuto un rapporto privilegiato, a partire dalla Costituente, nella quale, fra Dossetti e quel brav’uomo di Togliatti, si sono stretti inciuci e patti. Del resto, lo stesso De Gasperi col “Migliore” aveva un rapporto che tutto sembrava fuorché quello col nemico di Nostro Signore. Tanto è vero che i due partiti Dc e Pci per decenni dietro le quinte hanno concordato spartizioni, leggi, scelte e posizioni.

Ufficialmente nei confronti della gente si attaccavano in modo spudorato, salvo poi, nel retrobottega, stabilire le zone d’influenza e di potere come fu nell’articolo 7 sul Concordato. Non è un caso che, piano piano, nel corso della storia, i due colossi del Parlamento dopo Tangentopoli e lo sconvolgimento dei partiti decisero di fondersi per essere più uniti e, in qualche modo, la trasformazione del Pci, PdsPdDs ne suggellò l’unione.

Renzi è un democristiano di sinistra. Figlioccio di Ciriaco De Mita, il fondatore della sinistra di base, quella dei cosiddetti basisti, una corrente che nella Dc è stata oltreché importante molto potente. Il buon Matteo col centrodestra c’entra come i cavoli a merenda e quando gli ha strizzato l’occhiolino è stato solo per opportunismo personale come fu col “Nazareno”. Nulla a che vedere con una vicinanza sia ideologica che culturale. Del resto, parliamoci chiaro, Renzi ha culminato la carriera nel Pd fino a diventarne segretario, fino ad essere messo sul trono di Palazzo Chigi da Giorgio Napolitano, col consenso di D’Alema e di Bersani, oltreché dell’immancabile Veltroni.

Perché, sia chiaro, prima che Matteo iniziasse a litigare con gli ex “compagni” durante il suo mandato da premier e da segretario, tutto era filato liscio, salvo che a partire dalla Riforma costituzionale iniziarono i contrasti più grandi, culminati nella guerra al Referendum, trasformato in fatto personale. Parliamo di lotte interne alla sinistra, di fuoco amico, di ripicche, vendette, risentimenti. Da quelle parti, quando si combattono usano tutti gli armamenti. Ecco perché oggi è arrivata la scissione e Renzi se ne è andato assieme al suo plotone.

È andato via formando il suo partito per tenere sotto scacco il governo, nato grazie alla sua insopportabile giravolta verso i grillini, nemici giurati trasformati solo per ipocrisia in alleati. È così che si è formata la maggioranza più di sinistra della storia: un’alleanza che, oltre ai grillini, comprende dal Pd alla Boldrini. Un gran pavese degli ex comunisti. Ora qualcuno ci deve spiegare come possano gli esponenti di centrodestra, soprattutto di Forza Italia andare con Renzi, ex segretario del Pd, per finire alleati nella maggioranza più di sinistra che si sia vista, a braccetto con Grillo e Fratoianni.

Sia chiaro, cambiare idea è possibile e scontato. Ma passare da Forza Italia a chi con i comunisti e i Cinque stelle si è alleato, a chi sulla parola ha spergiurato, a chi ha mentito agli italiani, a chi da premier ha combinato danni, più che un cambiamento sembra un tradimento. Un vecchio proverbio dice chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Ecco perché con Renzi non si dovrebbe andare.

 

Aggiornato il 10 ottobre 2019 alle ore 15:33