Fioramonti: bocciato

Come dice Bill Bryson, il segreto del camminatore di successo è che sa quando fermarsi. Dovremmo tenerlo a mente un po’ tutti quando ci intestardiamo nelle nostre cose. Però forse è vero anche ciò che diceva San Francesco secondo il quale si comincia col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile e all’improvviso ci si sorprende a fare l’impossibile.

Ma tant’è, non c’è una ricetta univoca per tutte le stagioni o magari gli unici ad essere sempre possibilisti sono i giovani e i Santi mentre l’avversione al rischio è tipica di chi ha esperienza o dei pavidi. Forse la verità sta nel mezzo e, con una sana dose di buon senso, ognuno di noi si impegna tempo per tempo a trovare il giusto equilibrio tra entusiasmo e realismo. Vorrà dire che da ragazzini rincorreremo gli amori impossibili e da grandi ce ne terremo probabilmente alla larga se il gioco si fa troppo duro.

L’unico che imperterrito non si arrende alle stupidaggini che dice, nonostante non sia né giovane né Santo, è invece il nostro ministro Lorenzo Fioramonti, colui che è entrato al Governo giusto in tempo per sopperire al vuoto lasciato dal ministro Danilo Toninelli la cui esclusione dall’Esecutivo aveva messo un po’ tutti in allarme per il potenziale deficit di vulcaniche castronerie su cui fare della facile ironia. Toninelli era il Fausto Coppi degli strafalcioni, ma comunque Fioramonti è sicuramente Gino Bartali.

In molti oggi lo criticano per le oscenità scritte su Facebook, delle mostruosità da odiatore professionista che – a ben vedere però – rientrano appieno nell’identikit del pentastar medio, livoroso come Paola Taverna (prima che si mettesse a dare lezioni di bon ton agli inviati de Le Iene) e qualunquista come Alessandro Di Battista (quando aveva facoltà di parola all’interno del suo Movimento).

A meno che non ci si voglia mettere a fare i censori del web sul modello di Laura Boldrini (però poi nessuno osi criticarla), le esternazioni social di Fioramonti dovrebbero essere derubricate a bagatelle, capricci estemporanei di chi scrive connettendosi alla rete senza aver preventivamente connesso il cervello.

Certo, resta il fatto che i paladini del cyberbullismo non hanno condannato quelli che in altri momenti avrebbero bollato come gesti sconsiderati, a dimostrazione di quanto il concetto di correttezza per loro abbia la stessa elasticità della cute dello scroto.

A nostro avviso Lorenzo Fioramonti è peggiore nell’esercizio delle sue funzioni ministeriali rispetto a quanto lo sia da odiatore sui social. Fioramonti è colui che pensa alle merendine imperialiste non curante del fatto che le strutture scolastiche stiano cadendo a pezzi, una roba che – per pudore - nemmeno i ragazzini nelle assemblee di istituto utilizzano per allungare il brodo.

Il nostro eroe è il recordman di dimissioni annunciate: non si era nemmeno insediato e annunciò che si sarebbe dimesso se non fossero state conferite risorse aggiuntive al suo dicastero per un ammontare di tre miliardi di euro. Peccato che la nota di aggiornamento al Def, la cosiddetta Nadef, riveda al ribasso (dal 3,5 al 3,4 per cento) la quota di spesa pubblica dedicata al mondo scolastico. Un taglio dello 0,1% che, se confermato nella legge di bilancio, vorrebbe dire 1,8 miliardi in meno già dall’anno prossimo alla filiera che parte dalle scuole dell’infanzia e arriva agli atenei. Ma il pronunciatore di vacue frasi roboanti non ha minimamente pensato di dimettersi sul serio.

Fioramonti è quello che giustifica gli scioperi per l’ambiente (un chiaro danno erariale), ignorando che il mondo accademico abbia sfatato la correlazione tra inquinamento e riscaldamento globale. Ma è anche colui che –con tutti i problemi da cui è affetto il sistema formativo italiano – ha identificato come priorità quella di sostituire il crocifisso nelle scuole con una cartina geografica. Noi crediamo che, indipendentemente dal valore religioso del crocifisso che in uno stato laico dovrebbe essere assolutamente irrilevante, i muri delle aule siano sufficientemente grandi da ospitare un simbolo di apertura al mondo (la cartina geografica) e un simbolo delle nostre radici culturali rinunciando al quale si agevola un pericoloso arretramento identitario (non richiesto), chiaro preludio alla sparizione.

Inoltre, tutte le sentenze di tribunali nazionali e della Suprema Corte Europea dei Diritti Umani, dal 13 febbraio 2006 al 18 marzo 2011 hanno chiarito che “nei Paesi a tradizione cristiana, il cristianesimo possiede una legittimità sociale specifica che lo distingue dalle altre credenze filosofiche e religiose”. Poiché l’Italia è un Paese di tradizione cristiana, il simbolo cristiano ha chiaramente specifica una visibilità. Ciò senza intaccare minimamente il principio di laicità dello Stato che, secondo la Sentenza della Corte costituzionale n. 203 del 12 aprile 1989, “non significa indifferenza dello Stato verso le religioni, ma salvaguardia della libertà religiosa, in un regime di pluralismo culturale e confessionale”.

Ma questo Fioramonti faticherà a comprenderlo.

Aggiornato il 04 ottobre 2019 alle ore 13:48