Manovre finanziarie ipocrite

Sento parlare di manovre finanziarie da decenni e mi colpisce il loro carattere sommatorio, ovvero la particolarità di aggiungere balzelli nuovi a balzelli antichi che restano sempre vigenti. Sembra che gli “inventori” delle manovre finanziarie pensino di poter sfidare la regola distribuita su tutto il creato, che enuncia che non si possa togliere a una qualsiasi quantità, più della quantità medesima.

Mi piace poi, si fa per dire, la formula “eroica” con cui le manovre vengono annunciate ed “elargite” al popolo che, ormai, mentre si guarda a destra viene imbrogliato da sinistra e viceversa. Al suono di enunciati come il bene comune, la lotta all’evasione fiscale, l’equità sociale, il senso dello Stato e altri sacrosanti concetti che però vengono usati come elementi basilari dell’imbroglio, noi rispondiamo con l’ingenuità di chi confonde le parole con i fatti.

“Penso che sia giusto tagliare un po’ di soldi agli enti locali”, dice il viandante intervistato; ma dimentica che lo Stato mette in eroica vetrina i conti dei risparmi centrali, mentre autorizza la libertà di nuove imposte alle istituzioni di periferia. “Penso che sia giusto che ministri, parlamentari e quanti altri si taglino lo stipendio”, dice il solito beota; ma non sa che, fatti cento i soldi che un parlamentare “incamera” tutti i mesi, lo stipendio costituisce solo una modesta percentuale dell’insieme mentre, corruzione e “affari” a parte, il resto viene da innumerevoli prebende e si accumula a spese del popolo che di dette prebende sa poco o nulla. Si ride anche per non piangere, quando si assiste all’intervista del “viandante beota”.

E come non continuare tra lacrime o sorrisi, quando si osserva la banalità con cui reagisce la parte di popolo che reagisce, mentre l’altra è intenta ad annegarsi nel pessimismo e nella sfiducia? Nella tecnica del muro di gomma, l’Italia delle istituzioni è uno degli Stati al mondo che meglio sa gestire la piazza e, in più, ha a che fare col popolo che la utilizza peggio di tutti gli altri.

Non ha senso mobilitare le piazze al solo urlo dell’emotività, senza alcuna capacità di strategia. C’è poi una specie di terzo popolo che, a mo’ di salvatore della Patria, forma una lista civica o un partito nuovo in ogni portone. Sì, siamo oppressi da una classe politica dirigente scellerata, ma l’urlo popolare non basta e il pessimismo e il disinteresse non sono liberatori … insomma, i cittadini devono capire che ci vuole altro!

Un popolo che pensa di ribellarsi all’insegna del “concreto e subito” è un popolo che ha già perso, così come ha perso quel popolo che fa della sfiducia la quotidianità e della superficialità un vanto. La via d’uscita c’è, ma occorre ripudiare alcuni sciocchi e viscerali luoghi comuni della nostra logica popolare.

Aggiornato il 03 ottobre 2019 alle ore 16:37