Il Governo dei crocifissi

Dicevano che il Governo demostellato sarebbe dovuto nascere con l’intento di salvare il Paese dalla deriva salviniana e dal pericoloso isolamento in cui l’Italia si era ricacciata a livello europeo. Dicevano.

Dicevano che la cosa più importante da fare era sterilizzare le clausole di salvaguardia evitando il pernicioso aumento dell’Iva. Dicevano.

Dicevano che riannodare il dialogo con le cancellerie dei Paesi europei ci avrebbe portato risultati tangibili in brevissimo tempo. Dicevano.

Dicevano che la nomina di Paolo Gentiloni in Commissione europea avrebbe restituito credibilità al nostro Paese. Dicevano.

Dicevano che la stima di Francia e Germania ci avrebbe portato ad una diversa gestione del problema migratorio sul quale la politica muscolare non aveva dato i frutti auspicati. Dicevano.

Dicevano che il sodalizio giallorosso avrebbe prodotto un governo in netta discontinuità con il precedente ed incentrato su poche cose ma serie. Dicevano.

Però, perbacco, ci siamo detti un po’ tutti, trovando che questo inizio molto “chiuppilupittutti” celasse un tentativo di catarsi della sinistra la quale negli anni passati aveva perso tutte le elezioni per evidenti difetti di empatia rispetto alle preoccupazioni del Paese.

Ci aspettavamo qualche provvedimento giggione, un fuoco d’artificio, anche una semplice flatulenza atta a creare quel fragore tale da sancire questa tanto sbandierata discontinuità. Invece nulla, il buio più totale.

In ambito europeo continuiamo ad essere gli irrilevanti di sempre tanto che anche la maggiore flessibilità in tema di bilanci è andata ormai a ramengo. Ursula von der Leyen, manco fosse una “profumiera”, aveva promesso di darcela se avessimo scaricato gli odiosi sovranisti ma ovviamente è corsa a coprirsi le pudenda sotto il manto del rigore non appena l’Esecutivo, eccitato da cotanta apertura di bilancio, era ormai formato.

L’annuncio ha dovuto darlo il povero Gentiloni, ridotto al rango di “Ambrogio” in forza al dicastero economico europeo e palesemente impossibilitato ad ordinare perfino la cancelleria in totale autonomia senza fare ossequiosa istanza alla presidenza della Commissione.

Sul versante migratorio – a parte l’aumento costante di sbarchi – avevano annunciato di aver prodotto più risultati i giallorossi in un mese di governo che Salvini in un anno. Poi è bastato leggere il documento sottoscritto a Malta per capire che si trattava di una mera dichiarazione di intenti (non vincolante), applicabile a una platea di migranti che si aggira intorno all’8 per cento del totale di coloro che sbarcano in Italia, avente una durata di pochi mesi e per giunta totalmente carente sul versante degli automatismi nella redistribuzione dei profughi. Una fregatura in piena regola insomma. Una figura da Totò e Peppino (o forse Totò e Giuseppi).

Sul versante della sterilizzazione degli aumenti dell’Iva c’è stato un momento in cui sembrava che dalle parti di Palazzo Chigi non fregasse più a nessuno nonostante quella dell’Iva fosse stata indicata come una delle ragioni fondanti della nuova alleanza. Adesso dicono di aver trovato i soldi attraverso meccanismi di cashback, revisione delle detrazioni, progressività dei ticket sanitari, tasse green. In una sola locuzione, siamo davanti ai soliti tassatori di sempre.

Al cuor non si comanda e quindi, nonostante si siano sforzati di sintonizzarsi sui problemi del Paese, non può esserci un governo a trazione progressista che, dopo aver applicato il famoso “tassa e spendi” (soprattutto ma non solo con i soldi dei ceti medio alti) non si dedichi alle cose futili. E infatti costoro hanno mantenuto un contegno di qualche giorno onde poi sbracare clamorosamente. Come impegnano il loro tempo? Si occupano forse del Paese? Non scherziamo. Il Governo rossogiallo non ha occhi che per Greta e il riscaldamento globale, merendine e crocifissi nelle scuole, ius culturae e porti aperti, tortellini senza maiale e stop ai rimpatri (adesso che ci sono i tortellini di pollo, che senso ha organizzare i rimpatri?). Una maionese impazzita zeppa di luoghi comuni che ha come esempio plastico la vicenda occorsa ieri a Stefano Fassina (al quale inviamo un abbraccio e un augurio di pronta guarigione): protestava contro la chiusura di un’azienda di proprietà di una Istituzione guidata da un suo alleato di governo venendo caricato dalle forze dell’ordine del Governo di cui il suo partito è parte integrante e sulla cui condotta non si può più chiamare in causa l’odiato Matteo Salvini dipinto come l’aizzatore dei cattivi celerini contro il pueblo. Un Fassina di lotta e di governo che magari, invece di fare il picchettatore protestando contro sé stesso e i suoi alleati, avrebbe potuto fare qualche telefonata provando a risolvere il problema.

Attendiamo da un momento all’altro che l’annoso problema dei diritti civili faccia prepotentemente breccia nell’agenda di governo soppiantando – a puro titolo di esempio – problemi irrilevanti come quello della disoccupazione.

Aggiornato il 02 ottobre 2019 alle ore 13:25