Oggi più di ieri è giusto chiedersi chi possa governare l’Italia senza i condizionamenti delle organizzazioni sovrannazionali. Fino a ieri espressione di accordi tra Stati sovrani (siglavano trattati), oggi soggetti privati che, in forza dell’autorevolezza che godono presso istituzioni europee e mondiali, riescono a piegare alle loro ragioni la politica interna dell’Italia. Piccolo ma vecchio esempio (lo usiamo sempre): gli accordi tra Confindustria, Ong e multinazionali alle spalle degli italiani.
Rammentiamo che, quando s’era appena insediato il vicepremier Luigi Di Maio (ministro del Lavoro) ebbe a sostenere che sarebbero stati tolti gli aiuti alle imprese che delocalizzano gli impianti: ovvero industrie che mantengono eleganti sedi di rappresentanza in Italia e poi trasferiscono la produzione (le fabbriche) fuori dal territorio nazionale.
All’indomani dell’affermazione partiva il siluro dalla componente confindustriale del Partito Democratico: affermava che le parole del vice premier avrebbero fatto impennare lo spread; come a dire che fa male all’economia (e ci rende finanziariamente vulnerabili) la politica che premia le aziende che non trasferiscono all’estero la produzione. Un controsenso?
No, perché questa sinistra è da tempo inveterato venduta alla finanza internazionale, che la foraggia sin dagli anni Settenta: quando gli Agnelli e De Benedetti prezzolavano il centrosinistra per ottenere leggi a loro favore, anche nel senso di portare fuori dall’Italia le fabbriche. Ecco perché a finanziare le Ong che “soccorrono” i migranti ci sono fondazioni bancarie europee, multinazionali ed aziende italiane che operano nel mondo: tutte strutture che alle scorse elezioni speravano in una vittoria del Partito democratico.
Così l’Italia è inequivocabilmente divisa, e per colpa (anche grave) dei cosiddetti rappresentati istituzionali. Le fazioni in campo sono due, e da almeno sette anni (all’incirca dall’era Mario Monti a Palazzo Chigi): ovvero chi crede sia giusto votare e far esprimere democraticamente i popolo e chi, per ragioni legate ai poteri bancari internazionali, reputa giusto evitare le urne per non destare l’ira dei mercati finanziari. Quest’ultima fazione ha partorito, dopo gli accordi spartitori tra Emmanuel Macron e Donald Trump, Giuseppe Conte come panacea ai problemi economici. “Conte presidente del Consiglio o cameriere dell’intesa spartitoria Macron-Trump?”, si chiedono in parecchi.
Di fatto, nel recente incontro tra il presidente Usa e quello francese, Conte avrebbe assistito al patto d’acciaio Francia-Usa: ovvero la Francia fa propri pezzi di territorio marino e terrestre del Belpaese nonché il controllo finanziario delle grandi società energetiche italiane, mentre agli Usa basta che l’Italia rimanga interamente sua base militare. Un accordo che Conte (uomo consigliato a Beppe Grillo dalla finanza) non può certo rivelare, pena la defenestrazione dal conciliabolo di potere.
Questi risvolti hanno portato intellettuali, politologi e storici del calibro di Giulietto Chiesa, Adriano Tilgher, Carlo Alberto Biggini, Edoardo Sylos Labini, Luciano Garibaldi, e per citarne solo alcuni, a dichiararsi indignati per il ruolo acefalo a cui è stata consegnata l’Italia dai poteri (sarebbe meglio dire potentati) istituzionali. Carlo Alberto Biggini (presidente della Fondazione e Centro studi Biggini) è andato oltre dalla sua Torino ha scritto il 2 settembre 2019 alla “Segreteria nazionale di Fratelli d’Italia”.
“Mi pregio comunicare che il Comitato Nazionale ‘Io voto’, recentemente costituitosi per sollecitare che la crisi in atto trovi il suo sbocco naturale in libere e democratiche elezioni - scrive Biggini - ha deciso di aderire alla manifestazione di protesta indetta da Fratelli d’Italia a Roma, nel giorno in cui il Parlamento dovesse procedere all’eventuale voto di fiducia ad un governo nato al solo scopo di impedire il ritorno alle urne. Con i migliori saluti, il presidente Carlo Alberto Biggini”.
È notizia che s’è costituito in Italia il comitato “Io voto”: ne fa parte anche lo scrivente. Scopo del comitato è sensibilizzare l’opinione pubblica, e circa la necessità che la crisi in corso trovi il suo sbocco naturale nello scioglimento delle Camere: nella convocazione di elezioni anticipate, e nel più breve tempo possibile. Il Comitato (lo confermano aderenti come Sylos Labini, Luciano Garibaldi, Francesco Bandiera, Michele Rallo, Daniele Trabucco...) è perfettamente conscio del fatto che la prassi parlamentare vorrebbe si esperisse ogni possibile tentativo, al fine di identificare una maggioranza che si assuma l’onere di mantenere in vita la legislatura. Tuttavia, in questa particolare circostanza, in troppi ritengono che tale prassi debba necessariamente essere superata per il bene stesso delle “istituzioni democratiche”.
Gli italiani si trovano al cospetto di un parlamento che, se pur eletto soltanto un anno fa, è stato di fatto sfiduciato dalla volontà popolare. Tutte le elezioni svoltesi da quella data ad oggi (in primo luogo le recenti elezioni europee, ma anche diverse e significative consultazioni regionali) hanno segnato la vittoria inequivocabile del campo politico generalmente indicato come “centrodestra”, e la sconfitta sia del cosiddetto “centrosinistra” che dello schieramento cosiddetto “grillino”. Si dà il caso che, nell’attuale Parlamento, unica maggioranza aritmeticamente possibile sia quella che vedrebbe insieme proprio i due soggetti politici chiaramente sconfessati dagli elettori: Pd e Movimento 5 Stelle.
L’eventuale incarico di formare il nuovo governo conferito alle due forze perdenti (benché ineccepibile dal punto di vista formale) andrebbe in concreto a violare il principio basilare di ogni democrazia: ovvero il rispetto della volontà popolare. L’unica scelta logica sarebbe quella di ridare la parola agli elettori, e perché questi sanciscano in libera scelta quali dovranno essere i nuovi equilibri parlamentari.
Aggiornato il 03 settembre 2019 alle ore 16:11