La Lega non vuole più trattare con il M5s: “Ora il voto”

La crisi di governo sembra inevitabile. L’obiettivo di Matteo Salvini è chiarissimo: “Ora, il voto”. Il leader leghista ha aspettato che Giuseppe Conte tornasse dal colloquio al Colle per annunciare la fine dell’esecutivo pentaleghista. Il doppio voto al Senato Decreto Sicurezza bis-Tav ha determinato una spaccatura tra Carroccio e Movimento cinque stelle che non appare più sanabile. Il ministro dell’Interno non si accontenta più del semplice rimpasto. Ora pretende anche le dimissioni del premier.

I leghisti provano a mantenere la calma. In realtà sono euforici. “Parliamo solo attraverso note e fonti ufficiali”, dicono. La prima finestra utile per il voto è già stata individuata: domenica 13 ottobre. Probabilmente è stato questo l’oggetto dell’incontro a Palazzo Chigi tra Conte e Salvini. Poco dopo, nella sede del governo sarebbe arrivato anche Luigi Di Maio. Anche se fonti pentastellate sostengono che il leader cinque stelle si troverebbe nel proprio ufficio. Nel frattempo, i due presidenti delle Camere Roberto Fico ed Elisabetta Casellati sarebbero saliti al Quirinale per incontrare il presidente della Repubblica.

L’escalation della crisi è stata determinata dalla comunicazione diffusa alle 15 dall’entourage del vicepremier leghista. “Nessuna richiesta di poltrone, nessun rimpasto di governo come nella Prima Repubblica”. La Lega riconosce “le tante cose buone fatte”, ma sottolinea che “da troppo tempo su temi fondamentali per il Paese come grandi opere, infrastrutture e sviluppo economico, shock fiscale, applicazione delle autonomie, energia, riforma della giustizia e rapporto con l’Europa tra Lega e cinque stelle ci sono visioni differenti”. Ieri, l’ennesima rottura con i grillini sulla Tav, “l’ultima irrimediabile certificazione” della crisi.

Per queste ragioni, Salvini avrebbe detto che “in queste condizioni è inutile andare avanti fra no, rinvii, blocchi e litigi quotidiani. Ma niente governi tecnici e giochi di palazzo. L’unica alternativa a questo governo è ridare la parola agli italiani con nuove elezioni”. Per Andrea Orlando, vicesegretario vicario del Pd, “le regole istituzionali sono ridotte al ridicolo. I pericoli per la democrazia, in questo momento, non vengono dal rischio di svolte autoritarie o da recrudescenze fasciste. Ma dalla democrazia ridotta a farsa. Occorre reagire con determinazione”.

Aggiornato il 08 agosto 2019 alle ore 17:55