Termovalorizzatori a Roma: un tabù “politico” sbagliato

Nel 1995 Milano non era la città splendida e innovativa come la vediamo in questi anni. E aveva un problema serio: l’emergenza rifiuti. Per combatterla, le istituzioni locali decisero di investire anche sui termovalorizzatori. Oggi, il modello di gestione sostenibile dei rifiuti della città meneghina è invidiato da tutta Europa. Roma è pronta a cambiare passo e a indirizzarsi verso una vera economia circolare?

Dopo la vicenda dell’ordinanza regionale che obbliga la Capitale d’Italia a spazzare via i rifiuti con la bacchetta magica e di farli “circolare” in altri impianti di trattamento e smaltimento all’interno del territorio regionale e in diversi Paesi europei, il sindaco capitolino Virginia Raggi e il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ricominciano a darsela di santa ragione. Il motivo del contendere è la riapparizione della discarica di servizio a Roma. Infatti, la proposta di piano rifiuti 2019-2025 lanciata (lo scorso 2 agosto) dalla giunta regionale del Lazio punta sulla discarica e non sul termovalorizzatore.

Tra gli altri obiettivi del piano c’è anche l’irraggiungibile incremento della raccolta differenziata fino al 70 per cento entro il 2025 (oggi al 44,5% a Roma) e lo sviluppo dell’economia circolare. Su quest’ultimo obiettivo, la giunta regionale del Lazio ci deve spiegare meglio cosa intende per “economia circolare”. Dalle mie parti, i termovalorizzatori sono impianti ad alta tecnologia e a impatto zero in grado di valorizzare i rifiuti urbani non riciclabili trasformandoli in elettricità, calore o biogas per le comunità locali e di recuperare le ceneri prodotte dagli stessi termovalorizzatori per realizzare i famosi sanpietrini utili anche per le disastrate strade romane.

È il caso dello stabilimento della ex Ideal Standard di Roccasecca (nel frusinate) rilevato nel 2017 e riconvertito dalla società Saxa Grestone S.p.A. per introdurre una linea di prodotto innovativa: un sanpietrino ecologico realizzato con le ceneri di scarto dei termovalorizzatori. Insomma, si tratta di un prodotto che risponde pienamente al modello di economia circolare, ovvero valorizzare, nell’innovazione dei processi di produzione e consumo le risorse scartate dalle diverse filiere produttive.

Detto questo, possiamo pensare di avere l’unico impianto laziale di termovalorizzazione, quello di San Vittore del Lazio, con una capacità di smaltimento di quasi 347mila tonnellate l’anno? Non è sufficiente. Possiamo accettare il fatto che le tonnellate di rifiuti prodotte dai cittadini romani vadano direttamente negli impianti di termovalorizzazione del Nord Italia e in quelli del Nord Europa (facendo felici le comunità locali) che sono quasi pieni ed i prezzi di conferimento aumentano sempre di più?

Allora le istituzioni locali e i movimenti “ambientalisti” devono finirla con la grande ipocrisia del “no” al termovalorizzatore per poi scaricare i rifiuti sulle spalle altrui e puntare il dito contro le vecchie caldaie inquinanti installate nei condomini romani.

Non è il tempo del no “ideologico e delle battaglie identitarie di alcune forze politiche. Bisogna prendere delle decisioni serie e concrete per il bene della città. Altrimenti, Roma pagherà una tassa sempre più alta e non riuscirà a liberarsi dalla immondizia e dalla criminalità organizzata che fa dei roghi tossici il loro business sporco e dannoso per l’ambiente e per la salute dei cittadini.

 

Aggiornato il 06 agosto 2019 alle ore 11:37