
La conclusione della vicenda Sea-Watch non poteva che essere degna della rappresentazione teatrale che ha connotato l’intera vicenda.
Quattro dozzine di forzuti tutori dell’ordine pubblico (è possibile che non ci rendiamo conto del danno d’immagine che stiamo arrecando a corpi gloriosi?) che circondano, sotto le luci di tante telecamere e due ali di pubblico equamente diviso tra “pro e contro” (la regola della parità vale appieno per le regole di scena) e con sapienti soste mirate, il/la Capitano/a.
Questa piccola folla parte, a sirene spiegate (ma chi volete che intralci le strade alle 4 di mattina, a Lampedusa?), verso la locale caserma, verso l’ignoto futuro giurisdizionale della giovin donzella. Ridicoli anche i parlamentari presenti.
Sì, perché al di là del merito della vicenda, noi stiamo interpretando nel modo più basso possibile il significato del web: che pure è stato pensato per superare i confini della conoscenza e della solidarietà umana, ancorché esso fosse nato per scopi tutt’affatto diversi, militari. Noi italiani, più di altri, ne abbiamo invece valorizzato lo spirito impiccione, gossipparo, dove non importa quel che dici o fai, conta quanta pelosa attenzione provochi con la volgarità con cui ti esprimi.
Per cui, nel mentre blasonate università vengono sotterrate da scandali e si registra la percezione di un maggior senso di miseria e di povertà, i nostri presunti politici si lamentano per le mancate inquadrature durante la dolorosa demolizione del ponte di Genova. Una volta il riserbo del politico era la regola, ora è l’eccezione. Non credo che noi italiani ci abbiamo guadagnato granché in fatto di trasparenza.
Aggiornato il 01 luglio 2019 alle ore 11:01