
“Io voglio entrare. Entro nelle acque italiane con la Sea Watch e porto in salvo i migranti a Lampedusa”.
È il messaggio che Carola Rackete, 31enne tedesca capitana dell’imbarcazione della Ong olandese ha affidato all’informazione italiana. Noi non crediamo che traghettare migranti in combutta con le organizzazioni criminali – seppur ispirato da quelli che qualcuno potrebbe definire nobili ideali mondialisti – sia la soluzione al problema. Questo gioco pericolosissimo rischia di alimentare il traffico di disperati, rischia di finanziare gli estremisti che stanno dietro a questa ignobile tratta e rischia di provocare incidenti in mare con tanti morti innocenti. Reputiamo inoltre che l’opinione pubblica sia artatamente scarsamente informata sulle reali motivazioni geopolitiche che stanno alla base di un simile esodo di biblico (colonizzazione cinese, sfruttamento francese, guerre americane, ecc).
Ci incuriosisce anche il prototipo del migrante che in genere non è il bambino denutrito o il poverocristo gravemente ammalato, ma il giovanotto in buona salute che può permettersi di pagare cinquemila dollari allo scafista (cifra proibitiva se comparata al reddito medio di quelle zone).
Restiamo inoltre stupiti dalla quantità enorme di denaro che queste Ong sono capaci di maneggiare tra pattugliamenti incessanti in mare, navi costosissime, grossi equipaggi e aerei che decollano incessantemente. Ma tant’è, forse questi sono dubbi inutili che non dovremmo nemmeno sollevare convincendoci una buona volta che queste organizzazioni perseguano il nobile fine di salvare vite provando a regalare a questa povera gente un futuro migliore strappandole alla morte e alla povertà.
E forse dovremmo anche convincerci che i libici siano dei criminali, che gli italiani (con Matteo Salvini in testa) siano dei sadici insensibili così come i maltesi e tutti coloro che si oppongono all’accoglienza. Il costrutto potrebbe anche stare in piedi se non fosse che quella nave, la Sea Watch, che staziona testardamente da giorni al limite delle nostre acque territoriali ci sembra protagonista consapevole di una vera e propria azione totalmente illogica.
Comportamento illogico avvalorato per giunta dalle dichiarazioni del suo Capitano Carola Rackete, la quale afferma: “Sto aspettando cosa dirà la Corte europea dei diritti dell’uomo. Poi non avrò altra scelta che sbarcarli lì”. E aggiunge: “So anche questo – dichiara riferendosi alle conseguenze della probabile accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – ma io sono responsabile delle 42 persone che ho recuperato in mare e che non ce la fanno più. Quanti altri soprusi devono sopportare? La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione. Non bisognava arrivare a questo punto. I migranti non ce la fanno più, si sentono in prigione. L’Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa”.
Dichiarazioni che non chiariscono dubbi, ma che ci suggeriscono una serie di interrogativi. Ma perché puntare sempre e solo su Lampedusa? Perché perdere tempo per giorni davanti alle nostre acque territoriali innescando un braccio di ferro con le autorità italiane quando invece questo tempo sarebbe stato utile a raggiungere un porto più accogliente e civile rispetto a questa Italia razzista e crudele?
Salvare delle persone non significa sbarcarle nel più breve tempo possibile o significa invece portarle ostinatamente in Italia? In altri termini, il fine è salvarle o portarle in Italia? Questo “o Italia o morte” non ci convince perché è come se gli immigrati, dopo essere stati ostaggio degli scafisti, finissero col diventare ostaggio di chi vuole innescare una miccia facendo deflagrare una bomba più smaccatamente politica.
Già, e chi sono i mandanti? E perché le istituzioni sovranazionali si pronunciano solo in punta di diritto mentre i decisori politici europei tacciono e si guardano bene dal farsi carico del problema? Mistero.
Aggiornato il 25 giugno 2019 alle ore 11:48