Dai partiti di massa al voto di massa

Non è da escludere che all’analisi politica, soprattutto quella elettorale, manchi una categoria che, invece, sembra sempre più chiara almeno nel contesto italiano.

Si tratta della differenza fra partiti di massa e voto di massa. I primi hanno caratterizzato la cosiddetta Prima Repubblica e sicuramente la loro dimensione in termini organizzativi, in fatto di sedi e funzionari, era decisamente un’eccezione mondiale. Le sedi di partito, specialmente ma non esclusivamente di quelli più grandi, erano uffici quasi-aziendali a tutti gli effetti e garantivano un costante contatto con il proprio elettorato. Nonostante le notevoli differenze fra l’azione politica di un governo rispetto a quello successivo – basti pensare alle ‘novità’ introdotte dal centro-sinistra degli anni Sessanta – i partiti, con quelli di massa in testa, mantenevano quasi sempre le stesse percentuali di voto e, alla fine, ciò permetteva loro di dirsi soddisfatti di qualsiasi risultato elettorale.

Con la fine della Prima Repubblica, le cose sono cambiate: l’avvento massiccio dei mass media ha determinato la scomparsa, o quasi, delle polverose e asfittiche sedi di partito e dei comizi, poiché era sufficiente un intervento, fortunato o sfortunato, in televisione per decretare il successo, o l’insuccesso, di questo o quell’uomo politico e del suo partito.

La cosa ha riguardato tutte le democrazie ma, al solito, l’Italia ha vissuto, e sta tuttora vivendo, una fenomenologia particolare. Infatti, mentre in tutti i Paesi occidentali i due schieramenti classici e maturi, ossia la destra e la sinistra, sopravvivono a tutte le oscillazioni socio-economiche, da noi, una volta spazzata via la congerie dei partiti nel senso organizzativo tradizionale, l’elettorato si è trovato e dichiarato orgogliosamente “libero”. Di volta in volta, esso decide sotto la spinta di valutazioni immediate, di breve periodo senza più pensare, ammesso che prima vi pensasse, al futuro di medio o lungo periodo per scrutare o programmare il quale le idee e non solo il giudizio su questo o quel leader o sugli accadimenti quotidiani, non può che essere fondamentale.

Anche questa tornata elettorale europea conferma la tendenza in atto da tempo. In tutti i Paesi europei destra e sinistra, organizzate attorno a partiti che si chiamano popolari o socialisti, liberali o conservatori, hanno confermato la loro prevalenza decisiva lasciando ai così chiamati “sovranisti” il ruolo di parte minoritaria dell’opposizione. Si badi che, sia in Francia sia in Gran Bretagna, il predominio di costoro è presumibilmente destinato a sparire quando nei due Paesi si dovrà votare per i due parlamenti.

Il voto di massa, non organizzato o comunque “sincero”, nel senso che non dipende più dall’appartenenza a questo o quel partito, in Italia ha dunque caratteristiche peculiari poiché, proclamando la “fine delle ideologie”, moltissimi elettori credono di essere in grado, di elezione in elezione, di scegliere per il meglio uomini e programmi in modo da massimizzare la probabilità di risolvere i problemi, con in testa, però, solo quelli di giornata.

I leader delle varie formazioni politiche, a loro volta, più che preoccuparsi dei loro congressi comunali, provinciali, regionali o nazionali, dei propri giornali, ormai scomparsi, si preoccupano della prossima intervista televisiva o pensano al testo più incisivo da affidare ad un “post” telematico. E non hanno torto perché è da questi segnali telegrafici, veri e propri slogan, e non da argomentazioni anche solo un po’ impegnative, che dipende l’andamento delle elezioni. Ecco dunque esorcizzato il pericolo di sanzioni europee parlando di banali “letterine”, deriso il ruolo dei mercati con gli epiteti di “numerini” o “numeretti”, sistemata la Ue come banda di “burocrati”, lo spread come crimine degli “speculatori”, e rassicurato tutti con la bandierina del “prima l’Italia”, formula vuota che ognuno riempie come gli pare e dorme tranquillo.

In definitiva la differenza fra partiti di massa e voto di massa costituisce un cambiamento che può essere del tutto innocuo in Paesi caratterizzati da una solida tradizione democratico-liberale, ma assai rischioso per Paesi come l’Italia. Da noi, se da un lato i partiti di massa non hanno affatto svolto il ruolo costruttivo – di un diffuso senso della Stato, dei diritti e dei doveri – dall’altro la sbornia massmediatica ha condotto a corpulente ondate in favore di leader o movimenti – basti pensare al boom di Forza Italia, poi del Pd, poi dei 5 Stelle e ora della Lega - senza capire i loro progetti di fondo non per oggi, ma per domani. Vuoi perché pensare al domani in chiave liberale o in chiave socialdemocratica significa riflettere e non solo bearsi degli slogan, vuoi perché, negli ultimi due casi citati sopra, semplicemente le idee non ci sono. Dunque, restiamo in attesa dell’immancabile scivolone verso il basso anche del nuovo vincitore; dopodiché, avanti un altro.

 

Aggiornato il 29 maggio 2019 alle ore 17:09