
Non è successo quasi niente. Sembra paradossale se paragonato al clamore post-elettorale che sta animando il dibattito pubblico in queste ore. A noi pare invece che si stia facendo tanto rumore per nulla.
Le vere novità sono due: i Pentastar perdono un milione e 240mila voti rispetto al 2014 e sei milioni e centomila voti rispetto al 2018, mentre Matteo Salvini raddoppia i consensi nonostante i mimmilucani, i magistrati, le piazzate sui balconi, le menate buoniste, le manfrine antifasciste, Bergoglio, le Ong, gli alleati non leali e le ministre della Difesa dedite a fare le guerre con i colleghi dell’Interno.
L’opinione pubblica, che piaccia o meno, ha reagito premiando chi ha dato l’impressione di occuparsi di cose concrete mentre invece ha punito i buoni a nulla che si sono per giunta applicati alla polemica sterile nell’intento di screditare i competitor elettorali.
Anche il Partito Democratico, con buona pace di Nicola Zingaretti e Paolo Gentiloni che gridano al miracolo, perde 5 milioni di voti rispetto al 2014 e 131mila rispetto al 2018 divenendo rocambolescamente il secondo partito italiano non tanto per meriti propri ma più che altro per demeriti di Luigi Di Maio. Basti pensare che la Lega è il primo partito anche a Riace e Capalbio a dimostrazione di quanto il modello progressista sblocchi anche le stipsi più complicate.
Ma tutto questo cosa implica a livello governativo? Quasi niente nel senso che, eccetto la Lega, a nessuno conviene far saltare il banco e andare a elezioni. Ragion per cui, anche in caso di implosione dell’attuale maggioranza, prevarrebbero le ragioni conservative della legislatura. Questo Matteo Salvini l’ha capito e non ha alcuna intenzione di passare i prossimi tre anni all’opposizione di un Governo rossogiallo.
E infatti cerca di gettare acqua sul fuoco rivendicando semplicemente un cambio di passo a livello programmatico dissipando eventuali nubi sul versante delle ritorsioni nei rapporti di forza con gli alleati di governo. Molto probabilmente tra poco una buona dose di camomilla placherà i bollenti spiriti degli ultimi due mesi e Gigino Di Maio potrà tornare al Governo insieme a Danilo Toninelli e Alfonso Bonafede. Chi quindi pensava di far saltare Palazzo Chigi rendendo più forte la Lega molto probabilmente non otterrà l’effetto sperato perché le forze in campo per il momento si elidono a vicenda.
Anche a livello europeo la verità è che il sovranismo non ha sfondato lasciando gli equilibri più o meno inalterati: eccettuati Farage in Inghilterra e Salvini in Italia, in giro per l’Europa l’onda nera ha fatto flop. Anche la stessa Marine Le Pen in Francia è emersa più per un calo di consensi dei contendenti che per meriti propri. Quindi, a conti fatti, il Partito Popolare otterrà circa 180 seggi mentre i Socialisti dovrebbero controllarne circa 150 (la somma è di 46 seggi in meno della maggioranza).
I seggi mancanti saranno con buona probabilità forniti proprio da quel Partito Liberale che fa capo ad Emmanuel Macron, cui si potrebbero aggiungere anche i Verdi per sterilizzare l’effetto Orbán, il sovranista ungherese che viene ancora dato nel Ppe ma che comunque non è allineato.
Dalla padella alla brace: passiamo dal giogo di Juncker e Merkel a quello di Juncker, Merkel e Macron. Bel risultato del menga.
Aggiornato il 28 maggio 2019 alle ore 17:19