Perché, negli Usa, milioni di persone che nel 2008 avevano votato per Barack Obama, nel 2016 hanno scelto Donald Trump? Che malessere esprimevano?
Perché, in Gran Bretagna, Nigel Farage si è guardato bene dal sostenere sempre delle posizioni xenofobe e si è - di fatto - opposto solo a una “immigrazione di massa senza limiti”, rifuggendo da una posizione apertamente filo-nazista? Forse perché molti dei suoi elettori non potevano aver dimenticato la Seconda guerra mondiale? Perché in molte parti d’Europa (Italia compresa) alcuni populisti si svincolano dalla ortodossia economica del centrodestra (perché provengono da quell’area politica), evitando di forzare troppo la mano - quando governano - su di una diffusa opera di alleggerimento fiscale per le imprese e le famiglie? Perché, in Italia, dove pure abbiamo un sistema di protezioni previdenziali (pensioni e assistenze sociali) di tutto rispetto, assai esteso, la posizione contraria alle immigrazioni si sente con maggior clamore?
Ritornando agli Stati Uniti, perché Trump ha dichiarato apertamente la sua grande simpatia per le classi sociali più ignoranti, meno istruite? A guardare bene, da una situazione politica in cui gli stabili elettori di un tempo si sono trasfigurati in voraci divoratori di social network, divenendo masticatori di notizie vere e di fake-news “cotte e mangiate” subito, che hanno preso il posto di un ristorante dove si doveva aspettare un bel po’ prima di consumare il piatto preferito, lo spessore della decisione cambia rispetto all’annuncio.
Così più i moderni partiti vanno sempre di più distaccandosi dai reali problemi sociali in cui le stesse formazioni associative avevano affondato, un tempo, le loro radici e - via via - ne è scaturita l’influenza delle simpatie o antipatie personalistiche dei momentanei leader, che - di fatto - finiscono per equivalere in tutto e per tutto con il partito che, non di rado, si identifica con il loro nominativo.
L’Unione europea, che fu pure la madre delle democrazie mondiali, rimane del tutto muta di fronte agli sconvolgimenti politici mondiali, e pure di quelli che l’attraversano: attenta solamente - calcolatrice alla mano - al rispetto degli “zero-virgola” nei bilanci dei propri Stati membri, nel mentre il baricentro economico mondiale si è spostato dall’Oceano Atlantico, al Pacifico.
O l’Europa sarà capace di rialzarsi, con un poderoso colpo di reni, dallo stato atarassico in cui è tramortita, ovvero - con le ingerenze russe che aumentano ogni giorno - non pare esservi alternativa: diventeremo semplici consumatori di produzioni ideate, progettate, costruite e commercializzate, al di fuori di noi da altri.
Che può fare, in tale contesto, l’Italia? Ben poco, quasi niente. Ma il non essere, almeno, l’ennesimo sgabello del qualunquismo sarebbe, già di per sé, un segnale importante. Che obbligherebbe tutti, almeno in Europa, a ripensare il modo di affrontare le questioni che stanno veramente a cuore al popolo: che, poi, dovrebbe essere l’origine e il fine di tutto.
Aggiornato il 15 maggio 2019 alle ore 12:13