
Esaurite le liturgie del Primo Maggio, promesse e impegni solenni, compresa l’immancabile “bella ciao”, come se il lavoro fosse solo comunista, si torna alla realtà.
Ieri infatti, intorno al “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, ne abbiamo sentite di tuti i colori, un Primo Maggio con il meglio del passato e del surreale, a partire purtroppo dal festeggiato che da noi latita e va piuttosto male. Ma è sulla ripresa del Pil, sullo 0,2 per cento, che si è toccato il top dell’enfasi conviviale per sfruttarla in salsa elettorale. Insomma Luigi Di Maio è ripartito col boom, l’anno bellissimo di Giuseppe Conte, il trionfo delle scelte di governo.
Bene, anzi male, senza scomodare Trilussa, che col suo pollo diceva di statistica il secolo scorso, la realtà sui numeri come spesso accade in questi casi, può essere diversa e molto. Premesso che lo 0,2 sia niente, una minuzia rispetto al necessario, una pochezza così fragile che a toccarla e a fantasticarci attorno si rischia e basta, bisognerebbe riflettere sui metodi di calcolo delle previsioni.
L’econometria infatti, è un confronto fra modelli economici ed evidenze empiriche, per questo si offre a stime e risultati, che possono variare in alto o in basso, ecco perché le previsioni tra istituti e istituti di ricerca non coincidono e sono diverse. Per farla breve, l’utilizzo di campioni di riferimento, modelli calcolo, approssimazioni, è in grado di far pendere di più o meno verso l’ottimismo, il bicchiere mezzo pieno oppure mezzo vuoto che in certi passaggi non è ininfluente.
Quando poi si tratta sui decimali, frazionali, la faccenda si amplifica per l’interpretazione finale della politica sui numeri e sulle cifre, sia come sia e al netto di ogni commento, nel nostro caso cantare vittoria, annunciare il trionfo per uno 0,2 è una sciocchezza e basta. La realtà è che l’Italia resta in panne, la fiducia e la voglia di intrapresa mancano, siamo il fanalino di coda dell’Europa, le tasse soffocano produzione e iniziative, ecco perché meglio sarebbe sobrietà e silenzio sulle stime.
Eppure Luigi Di Maio e Matteo Salvini fanno l’esatto contrario, straparlano sullo 0,2 di crescita e tacciono sulla manovra che servirà a correggere i conti, defedati dal reddito, quota 100, dall’aumento dello spread e dalle salvaguardie da confermare. Parliamo di nodi che arriveranno al pettine, arriveranno e peseranno decine di miliardi mica robetta, nasconderli è solo ipocrisia, ci sarà una mazzata un’altra botta per lo sviluppo e per l’economia. Va da sé infatti che se quei soldi, decine di miliardi, fossero stati usati anziché per l’assistenza e per lo statalismo, per uno shock fiscale e per le infrastrutture, ben altra risposta avrebbero dato Pil e occupazione.
Ecco perché Di Maio dovrebbe tacere al posto di strillare sui trionfi e Salvini riflettere bene sulle necessità del Paese e sulla volontà degli italiani che chiaramente non lo vogliono assieme ai grillini. Questione di settimane oramai, parliamo del dopo 26 di maggio, a quel punto finalmente vedremo chi tra i due ministri, sarà il vero capitan coraggio.
Aggiornato il 02 maggio 2019 alle ore 13:21