Social network e democrazia

Organizzare il consenso è sempre stato uno dei temi fondamentali per coloro che gestiscono o vogliono gestire il potere; nel libro “Sorvegliare e Punire” Michel Foucault ci mostra l’evoluzione dell’espiazione della pena che passa da pubblico a privato, con il modificarsi della sensibilità del popolo. Prima si esponeva al pubblico ludibrio per intimorire il popolo, ma poi il potere, resosi conto che questo effetto non produce più timore, anzi aumenta la rabbia del popolo verso il sovrano, nasconde la pena nel carcere. Con l’avvento delle prime forme di democrazia si pone lo stesso problema sul come organizzare il consenso e troviamo nel Libro di Lenin “Che fare?”. Metodi e tecniche per condizionare le nascenti assemblee del popolo: i soviet.

Anche il nostro Antonio Gramsci, avendo considerato che la presa del potere in occidente non poteva avvenire mediante una conquista violenta, elabora la teoria dell’egemonia culturale. Una riflessione raffinata di manipolazione delle teste per convincere sulla bontà del comunismo. Certamente le tecnologie sono state un ottimo strumento, da un lato di informazione ed emancipazione dei cittadini, ma anche di manipolazione delle masse, in questo sia Hitler, che Mussolini e Stalin sono stati gli artefici di una presa del potere inizialmente (grazie alla manipolazione tramite radio e Tv) con il consenso, prima di mostrare la brutalità del loro sistema di potere.

Oggi con le moderne tecnologie, siamo passati dal villaggio globale di Mc Luhan, che intravede nella rete e nei satelliti un mondo sempre connesso che supera le distanze materiali, all’affermarsi dei social. Parliamo dunque di una connessione più personale nel rapporto, ma globalizzata nel suo esplicarsi, siamo entrati nella società liquida di Bauman. La società liquida è figlia della destrutturazione, saltano le istituzioni di mediazione ed i ceti intermedi che li rappresentano e si relativizza la conoscenza. In questo contesto la democrazia corre il rischio di una deriva leaderistica, perché si esalta un rapporto virtuale diretto tra il popolo e i leader, con gravi rischi per la tenuta democratica.

Con la destrutturazione della conoscenza si affermano le fake news che da un lato non risentono della condanna morale di chi le propone, essendo non sempre chiaro chi sia il responsabile, dall’altro il tutto avviene nell’anonimato della rete, per quanto visibile ad una moltitudine, in un rapporto tra l’utente e la notizia che può essere figlia delle sensibilità che la rete ha carpito allo stesso utente. Molti social registrano, anche con il nostro consenso, le nostre sensibilità politiche ed in modo pervasivo possono cercare di condizionare i nostri orientamenti, mediante notizie che amplificano o diminuiscono i fenomeni sociali.

Senza una regolamentazione e trasparenza internazionale sull’operatività di queste grandi multinazionali dei social e della rete in genere, le democrazie corrono il rischio di morire per troppa democrazia, o meglio per una anarchia delle informazioni che diventa difficile per l’utente poter decodificare. Una perversione della comunicazione che in questi anni stiamo vivendo, iniziato con Renzi e migliorato dal duo Salvini di Maio, è l’utilizzo dei social come strumento di annuncio o polemica, con la caratteristica di aizzare o distrare l’elettorato su temi sociali o morali riducendo la complessità di un fenomeno a140 battute di un tweet o di un monologo su Facebook.

Questo dialogo manicheo è un pericolo per la democrazia perché tende a presentare la complessità sociale e politica con una regressione del pensiero e della realtà. Se la rete viene percepita come la fonte della verità, corriamo il rischio che ha profetizzato Ferrarotti nel suo libro “Un popolo di frenetici informatissimi idioti”.

Aggiornato il 26 aprile 2019 alle ore 16:59