La vicenda della famiglia Renzi ha tutta l’aria di un regolamento di conti, ed all’interno delle lobby finanziarie che da decenni gestiscono campagne elettorali ed aiuti nel solco di Pci-Pds-Pd. Lobby che proprio in Toscana annoverano gangli di non indifferente potere bancario: è inutile rimestare i casi Monte dei Paschi, Popolare d’Arezzo e Credito Cooperativo Fiorentino. Resta il fatto che il credito è oggi uno dei nervi scoperti del sistema Italia, soprattutto ove si celano gran parte dei moderni intrighi. Diciamo subito che, da mesi una grossa fetta del Pd nazionale accusa Matteo Renzi di latitanza col partito, di non collaborare a fortificare la segreteria: come per dire che l’ex presidente del Consiglio si farebbe in quattro solo quando direttamente interessato a gestire il Partito Democratico.

Ieri è arrivato l’arresto di Tiziano e Laura per bancarotta fraudolenta ed emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti: vicenda che ha tutta l’aria d’un segnale al Paese, come a dire “Matteo Renzi è caduto, il Pd conta su altri referenti”.

L’ex presidente del Consiglio (oggi senatore del Pd) commenta: “Chi ha letto le carte e ha un minimo di conoscenza giuridica sa che privare persone della libertà personale per una cosa come questa è abnorme… Chi conosce la realtà sa che quelle carte, peraltro, non corrispondono al vero. Ma per questo - aggiunge Renzi - ci sarà il processo. Tra cinque anni, tra dieci anni, quando tornerà la calma, saranno in tanti a stupirsi e si potrà analizzare con serenità ciò che è accaduto in questo periodo alla mia famiglia”. Parole che lasciano trapelare come Renzi ben conosca chi in quei “meandri finanziari” lo voglia ormai distruggere.

Del resto la politica non è nuova a questi regolamenti di conti. Tutti noi che facciamo questa professione da qualche decennio rammentiamo in quale clima nacquero le faide interne alla Democrazia Cristiana, quando certa stampa volle far passare per buona la sinistra demitiana e per corrotti (e mafiosi) gli andreottiani: entrambe le fazioni non contavano certo dei santi, ma resta il fatto che ai secondi toccarono processi e condanne. E, strano a dirsi, il difensore dei demitiani (in funzione anti-craxiana ed anti-andreottiana) era il gioiello editoriale di Carlo Debenedetti, il gruppo Repubblica-Espresso. Quello stesso Debenedetti che poi si dimostrava fedele servitore politico d’una sinistra Dc giustizialista e capace di cavalcare il fenomeno Tangentopoli. Eppure nel 1981 Carlo Debenedetti entrava nell’azionariato del Banco Ambrosiano guidato da Roberto Calvi: acquistando solo il due per cento del capitale Debenedetti riceveva la carica di vicepresidente dell’istituto. Soprattutto, appena due mesi dopo, l’Ingegner Debenedetti lasciava la banca alle soglie del fallimento: veniva accusato d’aver realizzato una plusvalenza di 40 miliardi di lire e processato per concorso in bancarotta fraudolenta. Debenedetti veniva condannato in primo grado e in appello a 8 anni e 6 mesi di reclusione: sentenze che un decennio dopo (agli albori di Tangentopoli) venivano annullate dalla Cassazione, trasformando l’editore di Repubblica-L’Espresso nel paladino della moralizzazione dell’Italia dal Caf (Craxi, Andreotti, Forlani). Oggi sappiamo che Tangentopoli era stata creata per bloccare la politica economica di Craxi che, riportando i debito pubblico al quinquennio 1960/’65 (con operazioni di matematica finanziaria), avrebbe messo l’Italia al riparo dalle speculazioni finanziarie degli amici di George Soros (amico di Debenedetti e dei Benetton). Bettino Craxi veniva eliminato con infamanti accuse di corruttela: oggi, dopo ventisette anni, sappiamo che faccendieri e finanzieri s’erano riuniti sullo yacht Britannia per pianificare per via giudiziaria la fine della Prima Repubblica, e dell’arcitaliano Bettino Craxi.

Tiziano Renzi e Laura Bovoli sono finiti ieri agli arresti domiciliari in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Firenze, ed eseguita dalla Guardia di finanza del capoluogo toscano. “Mai vista una cosa del genere: arresti domiciliari a due persone prossime ai 70 anni per fatti asseritamente commessi al più tardi nel 2012” è il commento dell’avvocato Federico Bagattini, legale dei genitori dell’ex presidente del Consiglio, “Ci riserviamo ogni valutazione sul merito alla lettura completa delle carte”.

Il Gip Angela Fantechi scrive, nell’ordinanza con cui ha disposto i domiciliari, che vi sarebbero “condotte volontarie realizzate non per fronteggiare una contingente crisi di impresa, quanto piuttosto di condotte imprenditoriali finalizzate a massimizzare il proprio profitto personale con ricorso a strategie di impresa che non potevano non contemplare il fallimento delle cooperative”. Poi nelle carte d’indagine si parla di “coop fallite e fatture false”, ed una parte del Pd grida allo scandalo: evidentemente certi esponenti dell’ex Pci-Pds contano sulla corta memoria italiana circa l’operato delle “coop rosse” (mezzo secolo di truffe e fatture false).

Resta il fatto che, il prossimo 4 marzo, per i genitori dell’ex premier si apre il processo: sono imputati, insieme all’imprenditore Luigi Dagostino (amministratore della Tramor all’epoca dei fatti) per emissione di fatture false in relazione a due operazioni, una da 20mila euro e l’altra da 140mila più Iva. Somme di per se risibili, se si considerano i milioni di euro che certa politica bancaria ha sottratto ai risparmiatori italiani. Gatta ci cova, la vicenda ha tutta l’aria d’una faida all’interno delle famiglie politiche toscane. Fermo restando che la giustizia deve fare il suo corso, ci sembra i grandi beneficiati dall’era Renzi si godano comunque le ricchezze lontano dai riflettori.

Aggiornato il 20 febbraio 2019 alle ore 12:29