Le “vedove” inconsolabili

Non v’è dubbio che gli avvenimenti di questi ultimissimi tempi si presentino come altamente significativi circa il fatto che si sta passando dall’indignazione morale di una larghissima maggioranza del popolo alla politica concreta. Un’indignazione esplosa nei confronti del passato regime, soprattutto quello renziano per intenderci, con tutta la sua schiera di accoliti, corifei e fiancheggiatori, che ora, come vedove inconsolabili, si aggirano tra il “manicomio” e la “fogna” in cui sono precipitati e da cui continuano a lanciare venefici strali e isterici strilli per una paventata rinascente minaccia fascista, egregiamente coadiuvati in ciò da una folta élite culturale progressista, l’intellighenzia sinistroide sempre in agguato in questo Paese, stante il profondo dogmatico inserimento di un bieco sinistrismo, con il suo strumentale e demagogico buonismo d’accatto, nel mondo della cultura e in altri settori particolarmente qualificati della società: magistratura, burocrazia e apparati pubblici, mondo dello spettacolo, questo esibitosi da ultimo nello squallido epilogo sanremese. In realtà si tratta di un pidocchiume servile e affamato, un nuovo “ceto sacerdotale”, il “filosofo re”, ideologicamente mimetizzato, che si ritiene, a dispetto di tutto e di tutti, il depositario di un “verbo” assoluto e inconfutabile.

Ma quello di questa sinistra, un’élite di “zeloti” di una sorta di eguaglianza neoterzomondista ad ogni costo, è soltanto un risibile “risorgimento senza eroi”, fallito in partenza, che purtuttavia assume i contorni di un vero e proprio terrorismo ideologico non soltanto nei confronti dell’establishment politico in atto, ma anche verso volontà popolari nettamente espresse, indubbiamente ostili a suggestioni buoniste e pseudo accoglienti.

Il cardine dunque - quello della opposizione politica necessaria e feconda - di una compiuta liberaldemocrazia, sta per essere scardinato, poiché, a parte la questione di merito circa l’azione dell’attuale governance, su cui pure possono insorgere alcune perplessità, il problema è di metodo stante il manifestarsi di un neofrontismo preconcetto, ideologico, come se si stesse andando tra le macerie della democrazia in direzione di un regime politico basato sul culto idolatrico della comunità nazionale divinizzata e sulla concentrazione del potere nelle mani di un capo carismatico. Così non è invece, è bastata l’adozione di qualche giusto provvedimento in tema di sicurezza o di flussi immigratori per l’irrompere di una massa indiscriminata che assedia e minaccia l’intera Europa e in primis l’Italia come Paese di front-line, per far ripiombare questa Repubblica - nata fin da allora tra equivoci, contraddizioni e lacerazioni ideologiche - ai tempi più cupi della sua già grigia esistenza.

Di certo una nuova incongruenza, un’ulteriore aporia, nell’ancora difficile processo di integrazione della nazione, ancora largamente incompiuta, una lunga, interminabile “notte” della Repubblica, una perenne impossibilità di vivere una comune dimensione politica perché non poggiante su una comune dimensione etica e su un’idea condivisa di democrazia liberale, il “liberalismo protetto”, in cui la necessità della protezione nasce dal bisogno non di tutelare interessi particolari bensì di contemperare le esigenze della comunità nazionale e quelle dei singoli individui, in una parola alla riaffermazione di valori identitari della nazione.

Una ricetta magica contro tutti i mali di certo non esiste, ma un rimedio contro la tragicommedia folle della democrazia italiana ad impedire che possa trasformarsi in una inesorabile discesa all’inferno, sicuramente sì!

Aggiornato il 18 febbraio 2019 alle ore 11:32