Il partito della recessione

La recessione c’è. Ha finito per ammetterlo anche lui, Di Maio. E, poiché promettere è ancor più facile che dire le bugie, ha detto: “Allegri! Questa è una recessione per modo di dire, una recessione espansiva”. Il 2019 sarà un anno “bellissimo”. Ma bisogna intendersi sulla “bellezza” dell’andamento dell’economia.  Si può cambiare opinione. E se i Cinquestelle cambiassero un po’ tutte le opinioni con le quali stanno mandando in rovina il nostro Paese, sarebbe ottima cosa. Il guaio è che tra i pentastellati un cambiamento di opinioni (almeno, apparentemente) c’è già stato. Agli albori del grillismo tra gli “Amici del Bar dello Sport”, seguaci del comico turpiloquente, c’era la convinzione che lo sviluppo economico fosse un male per l’umanità e che fosse necessario procurarsi una saggia recessione. Pare che poi abbiano cambiato opinione e approccio politico: meglio negare che la recessione ci sia ed introdurre il termine gioioso ed ottimista: economia “bellissima”. Qualche dubbio che, in fondo, la stagione “bellissima” dell’economia che Di Maio promette sia tale secondo la teoria apparentemente buttata alle ortiche. Tale la recessione che non solo provocano le dissennatezze populiste ma che, addirittura, Di Maio ci promette usando il termine “bellissimo”. Anni fa i grillini assicurarono che proprio la recessione era “bellissima” e “bellissima” la società senza pericolosi ed affannosi progressi.

Non è questione di parole né di eccessiva polemica. In fondo al populismo c’è una diffidenza insuperabile di fronte al progresso, allo sviluppo, all’ammodernamento delle infrastrutture, alla scienza. Questo è stato il populismo che portò nell’Inghilterra del Settecento gruppi di facinorosi a distruggere le macchine degli opifici. Eredi e possessori dei rifiuti e dei rottami della sinistra, i Cinquestelle sono però più legati a Leone XII, ai Lazzaroni di Napoli, alla reazione brigantesca nell’ex Regno di Napoli che al marxismo ed alla tradizione socialista. La loro “novità” è, in realtà un rigurgito del rifiuto della modernità e del motore di esse, il pensiero illuminista. Il No Tav di Di Maio ha radici antiche e il loro “nuovo” si esprime benissimo con la dichiarazione trionfante della povera sindaca Raggi che, mentre forte è lo scontro sulla Tav, proclama, con evidente intento compensativo “lo stadio (di calcio della Roma) si farà”. Non è un caso che s’abbiano da chiamare, come io faccio, “gli Amici del Bar dello Sport”. Altro che partito che provoca la recessione! Sono il partito della recessione, del rifiuto della modernità e del progresso. Alla conquista del potere delle classi lavoratrici preferiscono l’elemosina di cittadinanza che sarà poi di chi se la sa arraffare. No Tav, No vaccinazioni, No difesa dall’immigrazione-invasione, No Europa, No, No, No, No. Soprattutto, No al progresso, No anche alla rivolta di Guaidò contro la dittatura di Maduro. E Sì a che cosa? All’anno “bellissimo” per l’economia. Bellissimo perché “bella” è per loro la recessione. Oh, che bella recessione!!! E tutti allo stadio! (se ci sarà).

Aggiornato il 06 febbraio 2019 alle ore 19:44