Quanto ci costa il Global Compact?

Chi paga i costi del Global Compact for Migration (Gcm)? Argomento di interesse universale, quest’ultimo. Perfino un paio dei 25 punti (“23 - Francafrique”; “24 - Immigration”) del manifesto dei Gilets Jaunes riguardano le migrazioni. Marine Le Pen, loro sostenitrice a tutto campo (come il suo avversario Jean-Luc Mélenchon, leader del movimento di ultrasinistra “La France Insoumise”), muove al Gcm una serie di rilievi piuttosto fondati, dato che a suo giudizio l’Accordo equipara la migrazione a un diritto umano universale e inviolabile, promuovendo l’organizzazione attiva delle migrazioni globali (si parla di flussi pari a parecchie centinaia di milioni di persone!). A suo avviso, la conseguenza pratica del Gcm è di drenare, senza alcuna compensazione o Fondo mondiale di sostegno, immense risorse umane, di welfare e finanziarie alle economie e alle società dei Paesi di accoglienza. Fa fede di vincolo (se non strettamente giuridico, certamente cogente sul piano dei principi morali), la ripetizione per decine di volte e in numerosi passaggi chiave della formula di rito “I Paesi firmatari si impegnano (più o meno solennemente) a..”.

Per Marine Le Pen, l’Accordo istituzionalizza il comunitarismo attraverso la comunitarizzazione della diaspora per cui, per fare un esempio, chi beneficia di un qualsiasi trattamento previdenziale consolidato nello Stato di accoglienza è autorizzato a trasferirlo, una volta rientrato nel proprio Paese di origine, alla sua comunità di appartenenza alla nascita. Così come nessun vincolo può essere imposto alle relative operazioni di money transfer. Il Gcm esalta il politicamente corretto in materia di immigrazione prevedendo severe sanzioni, come la mancata corresponsione di sussidi e contributi pubblici, per quei media che a qualsiasi titolo adottino posizioni anti-immigrazioniste. Per di più, si richiede alle parti contraenti l’organizzazione di una rete informativa mondiale a favore dell’immigrazione, che trasformerebbe di fatto i consolati in vere e proprie agenzie di sostegno. Ai Paesi firmatari (ovvero, soltanto a quelli di accoglienza!) si fa carico di accompagnare l’intero percorso del migrante con tutela giuridica, aiuti economici all’inserimento, e così via. E qui viene da chiedersi: “Immigrato/ Migrante, ma quanto mi costi?”.

Fatti quattro conti, se prendiamo come numero di riferimento un milione di sbarchi dal 2015 a oggi per un costo medio di 3mila euro a viaggio, fa in totale tre miliardi. Risorse sottratte allo sviluppo dell’Africa e regalate a bande di trafficanti, a milizie fondamentaliste, etc., per non parlare della gravissima emorragia di capitale umano sottratto allo sviluppo locale. Chi paga tutto questo? Certamente, se esiste una strategia globale come tale, i migliori candidati sono i ricchissimi Stati arabi produttori di petrolio, che non hanno mai firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Costoro, finanziando un simile esodo (a costi irrisori, visto il loro livello di riserve in dollari!), ottengono tre risultati fondamentali, quali: promuovere la conquista demografica dell’Occidente sterile inviando sul Continente milioni di africani di fede musulmana; sottrarre notevoli risorse finanziare alla crescita economica interna dell’Europa, per impiegarle nell’assistenza e nell’integrazione dei migranti; obbligare a lungo termine gli Stati di accoglienza ad adottare sanatorie per l’immigrazione irregolare, non potendo rimpatriare chi non avrebbe diritto a restare a causa della mancanza di collaborazione dei Paesi di origine. Strategia che, come si vede, permette ai ricchi Stati arabi di tenere lontana dalle loro frontiere una massa enorme di giovani africani che, con la sola loro presenza, destabilizzerebbero dall’interno quei regimi illiberali. Contiamo tutti, allora!

Aggiornato il 10 dicembre 2018 alle ore 13:33