Chi ci difenderà dalla legittima difesa?

Era già stata preannunziata come prossima la discussione della “riforma” dell’istituto penalistico della legittima difesa. Se Governo, Matteo Salvini e compagni dovranno fare qualche passo indietro sul “Reddito di cittadinanza” e sulla “copertura” della relativa spesa sul bilancio, è ancor più probabile che si passi ad agitare quest’altra questione.

Non vi saranno problemi di “coperture”. Semmai di “scoperte”. Scoperte, ad esempio che alcune delle modifiche normative che sembra siano negli intendimenti dei salviniani, sono già state introdotte nel testo della legge del tutto inutilmente e che altre grida allo scandalo non riguardano lo stato della legislazione e neppure quello dell’interpretazione delle norme vigenti ma il modo in cui si debbono applicare.

Non è una pretesa del tutto infondata quella di chi protesta e non può essere negato che la nostra legislazione in materia di difesa legittima è tra quelle che meno largheggiano nel proteggere chi la invochi e chi si trovi in condizione di poter contare sulla propria capacità di reazione e sulla sorte di fronte a situazioni di pericolo determinate dal crimine altrui. Ma non è, tuttavia, dal meccanismo normativo (articolo 52 C.p. con modifica del 2006) che deriva la situazione di grave pregiudizio per chi sia costretto a difendersi anche da gravi aggressioni alla persona ed ai beni.

Tra le grida di scandalo e le promesse di terremoto legislativo di Salvini e salviniani, del resto, se ne sentono alcune che dimostrano che anche tra i riformatori c’è qualcosa di più della solita confusione di idee. Dire che chi si difende o difenda la propria abitazione e la propria bottega deve “essere lasciato in pace” non è tutto frutto di abitudine all’approssimazione e dell’ignoranza dei veri temi della questione. È chiaro che alla protesta contro la normativa vigente se ne aggiunge, forse con maggiore vigore, una contro le procedure giudiziarie, oltre che contro certe interpretazioni del dettato legislativo che ne producono effetti allarmanti.

Per “lasciare in pace” chi, magari, ha ucciso, per difendersi un rapinatore, facendogli grazia di una “via crucis” segnata da cavilli che si pretendono imposti dall’”obbligatorietà dell’azione penale” occorrerebbe cambiare struttura, sistema, qualità della giustizia italiana. Il gioielliere costretto a sparare per salvarsi dalla ennesima rapina è, di fronte alla giustizia all’italiana, il classico “colpevole di essere innocente”, e come tale oggetto di ogni sorta di vessazioni.

Ma torniamo al fatto che, di fronte a critiche e proteste non dissimili da quelle fatte valere oggi da Salvini con la grancassa della sua arroganza, c’è non più l’originario testo dell’articolo 52 del Codice penale, ma la “novella” di esso approvata nel 2006. Una “riforma” passata non senza polemiche e non senza la rivendicazione del merito di averla fatta approvare, cioè da quella stessa Lega che oggi torna a lamentare l’assurdità della legge in vigore. La riforma del 2006, in realtà, non riformò proprio niente. Specificò situazioni magari poco comprensibili dai novelli giuristi. Ma il nuovo testo, alquanto più lungo, si può dire che sia, in conclusione, la ripetizione dello stesso testo modificato. Il fatto è che nel concetto stesso di “difesa” ed ancor più in quelli di “proporzionalità”, di necessità etc. che sono ineliminabili nella concezione di questo istituto, è insito un notevole margine di ineliminabili discrezionalità.

E poiché è inimmaginabile che, quale che sia la formula legislativa vigente, manchi un momento in cui il fatto, ad esempio, di un rapinatore ucciso nel corso della rapina debba essere trattato da un magistrato, il primo, vero problema sarà quello della più o meno labile fantasia del pm, la sua cavillosità e quella di un consulente tecnico. La falsa, distorta funzione dell’avviso di garanzia farà il resto. Il “legittimo difensore” si troverà inesorabilmente a fare i conti con gli ingranaggi di una giustizia che brucia tutto ciò che tocca, innocenti e colpevoli.

Non so se Salvini vagheggi una norma di modifica dell’articolo 52 del C.p. che dica “Nessuno rompa i c. ad un negoziante che ha ucciso il rapinatore (ché ben gli sta)”. Forse nemmeno lui ha riflettuto sul fatto che questa dovrebbe essere la formulazione dell’articolo da riformare per essere aderenti al suo pensiero. Di questi tempi se ministri e parlamentari mettono mano a riforme di normative delicate corrispondenti che implicano principi di una certa complessità, c’è da raccomandarsi al cielo che la riforma resti per strada. Il diritto, specie quello penale, non è cosa per sollazzare gli amici del bar dello sport.

Aggiornato il 07 dicembre 2018 alle ore 11:54