Il nostro linguaggio ipocrita ed eufemistico è all’origine delle cosiddette fake news. Esempio: Matteo Renzi, che forse si sta facendo un proprio partito, in un’intervista dice che “chiunque vincerà le primarie del Partito Democratico avrà il mio rispetto”. Traduzione: “Fatti suoi, a me non importa un fico secco”. Allora il cittadino medio, che pure con l’istinto capisce tutto ciò, si sente preso in giro da tanta falsità e reagisce nella maniera peggiore: dà il voto a gente come i grillini che paradossalmente hanno fatto dell’impostura e dell’inganno la propria bandiera ontologica. Fino a diventare il partito dell’irrazionalità conclamata. Dicono la verità di quel che pensano che è quanto di più lontano dalla realtà. Così facendo ci ritroviamo in un Paese che vive come in un minuetto di bugie e di sparate da fare invidia a un’operetta.

“Nihil sub sole novum”, tutto già visto in secoli di farse sul potere, dal “Miles gloriosus” di Plauto in poi. In pratica, se viviamo circondati da “so called” fake news la colpa è nostra che accettiamo senza batter ciglio da decenni un modo di esprimersi che contraddice ciò che vorrebbe significare. E non c’è neanche da attaccarsi al “linguaggio del corpo”: basta rimanere all’analisi del testo per rendersi conto che una cosa spesso vuol dire il contrario di ciò che enuncia. Mentre l’auditorio fa finta di niente. Oltre il teatro dell’assurdo quindi. È chiaro quindi che in questo tipo di realtà a livello politico gli elettori, ormai “impazziti” a causa di tutte queste sfacciate menzogne, vadano dietro a chi la spara più grossa. È un nuovo modello di ordine e di controllo sociale ed è ovviamente pericolosissimo. Carlo Collodi lo capì per primo con la metafora di Pinocchio che viene portato via dai due carabinieri dopo avere denunciato le malefatte di cui era stato oggetto.

Adesso la domanda implicita di questo ragionamento è semplice: vogliamo continuare a vivere così? A prenderci in giro da soli e reciprocamente? Vogliamo sacrificare la libertà civile ed economica e lo stato di diritto sull’altare – ad esempio – di una sicurezza percepita che serve a portare acqua al mulino di Matteo Salvini o su quello di un giustizialismo – tipico della cultura del sospetto – che invece porterebbe acqua al mulino di Luigi Di Maio? Qualcuno o qualcosa – compreso il caso – sveglierà gli italiani dall’incantesimo delle fake news prima che sia troppo tardi?

Aggiornato il 07 dicembre 2018 alle ore 12:00