
Dopo settimane e mesi in cui giornali e televisioni hanno riempito la testa degli italiani di chiacchiere sul deficit, lo spread, la manovra, le norme costituzionali e quelle europee, sicuramente la quantità di nozioni sulla finanza pubblica conosciute dai cittadini è aumentata. Probabilmente non è aumentata, invece, ma diminuita la comprensione del senso e della logica di tali nozioni. Credo che siano aumentati quelli che di tutte queste nozioni ne fanno solo un cumulo di chiacchiere sempre più a vanvera.
Anni fa, quando a votare andava non meno dell’80 per cento degli elettori, il 95 per cento di essi non aveva mai inteso parlare di Prodotto interno lordo, né di spread e, come il mio compaesano Cretò, pensava di poter rabberciare le strade di campagna con i soldi del deficit.
Quando si parla dei movimenti dell’opinione pubblica, della sua fiducia e sfiducia, dell’aumento o della riduzione delle propensioni di voto per questo o quel partito, siamo in troppi a dimenticare che c’è quasi la metà degli elettori che non va più a votare e che quando si parla dell’elettorato in realtà si dovrebbe parlare di una metà di esso. Che cosa se ne è andato in fumo degli elettori e dei loro voti, quale parte è stata più gravemente colpita dalla sfiducia e dal disinteresse?
Non mancano certamente studi, sondaggi, valutazioni. Ma l’impressione è che quello dell’astensionismo è, oltretutto un fenomeno variabile, che incide in maniera sempre diversa e che è determinato da eventi in modo contraddittorio e non omogeneo. Insomma: ridotta la percentuale dei votanti è ridotta anche la probabilità che l’uno o l’altro degli atti dei partiti e dei politici reagisca in modo coerente e prevedibile. D’altra parte, tutto il mondo politico italiano è caratterizzato più dai suoi vuoti che dai suoi dati positivi. C’è, intanto, un rapporto del quale politici e politologi sembra non si rendano conto. La qualità variabile della classe politica, dalla sua cultura e dalla sua moralità. Esse sono rapidamente cadute in basso. Mentre le complicazioni di ogni gestione politica, da quella del più piccolo Comune a quella del Governo dello Stato e degli Organi comunitari europei sono divenuti in breve tempo enormemente più complicati, la preparazione a farvi fronte è andata diminuendo. Il dissolversi del peso delle ideologie non ha portato ad una più seria ed adeguata selezione della classe dirigente.
La scomparsa di partiti, benché vecchi ed obsoleti, ha lasciato vuoti incolmabili più assai di quanto non abbia assicurato nei singoli un adeguamento alle reali esigenze di capacità. Fenomeni di ingigantimento del liquame, dei rottami dei partiti distrutti non sono stati abbastanza analizzati. Ma soprattutto è la fiducia dei cittadini, in quelli di loro che affrontano la competizione politica che difetta gravemente e condiziona negativamente tutto il sistema politico. Si sente chiaramente, senza che ciò non apre però la strada a soluzioni a portata di mano, che ci sono vuoti tra le forze politiche. Vuoti che si stenta a riempire. Oramai tutti, o quasi, si sono convinti, ad esempio, che ci ritroviamo sul groppone questa caricatura di Governo perché non c’è una forza alternativa di opposizione che possa sostituirlo.
C’è abbondanza di sciocchezze, di personaggi da operetta in veste di uomini di Stato. Ma ciò non facilita l’ascesa di chi non manca di qualità. Ciò che manca è proprio ciò che serve. Più di quanto accada di sovente.
Aggiornato il 03 dicembre 2018 alle ore 11:43