A casa Di Maio

Luigi Di Maio si sente sotto attacco perché, secondo la tesi ufficiale dei pentastar, più di qualcuno sta giocando a ravanare nella sua vita privata cercando il pelo nell’uovo, cercando lo scandalo anche non direttamente attribuibile al vicepremier ma comunque in grado di infangarlo mascariandolo agli occhi dei suoi elettori.

Vi sembrerà strano, ma questa volta concordiamo appieno con il vicepremier ritenendo che sia altamente probabile per chi fa impresa incorrere in qualche casino (di cui ovviamente dovrà assumersi le responsabilità) e ritenendo inoltre che sanare un abuso edilizio (soprattutto per una casa costruita cinquant’anni prima) sia una storia comune a tre quarti delle famiglie italiane. Non ci scandalizzano questi fatti, non li riteniamo edificanti ma non costituiscono neppure motivo per mandare Giggino e famiglia al patibolo. Crediamo invece che molti italiani abbiano imparato a turbarsi per simili birichinate e che questo clima forcaiolo (che sembrava essersi sopito dopo “Mani pulite”) sia stato nuovamente instillato nella società proprio da quei Cinque Stelle che oggi invocano il rispetto della vita privata e del garantismo.

I lettori ricorderanno sicuramente che – coadiuvati da casse di risonanza come “Le Iene”, “Report”, “Il Fatto Quotidiano” e via via odiando – i Pentastar nel tempo hanno fatto le pulci a tutti invocando le dimissioni di chiunque. Ricordiamo ad esempio Josefa Idem il cui marito non aveva pagato qualche rata di Imu o il marito della ministra Federica Guidi che si occupava di trivellazioni petrolifere in Basilicata, del padre di Maria Elena Boschi reo di ogni nefandezza bancaria, del padre di Matteo Renzi condannato sui giornali per l’affare Consip o del più famoso psiconano (al secolo Silvio Berlusconi) a loro dire in eterno conflitto d’interesse. Proprio quel circo dei miracoli che oggi rema contro i prodi a Cinque Stelle era solito dare inizio alla sarabanda: il caso montava sui media e i grillini lo cavalcavano in Parlamento chiedendo le dimissioni del malcapitato con annesso processo di piazza e disgusto generale. Le parole d’ordine erano sempre le stesse: il politico anche non direttamente coinvolto non poteva non sapere, il Paese vive in un colossale e diffuso conflitto di interessi, sei colpevole anche se sostanzialmente non ti occupi degli affari di famiglia ma ne sei formalmente responsabile (vedi caso Berlusconi).

Adesso, che Giggino ’o ministro si lamenti di un sistema mediatico-politico che egli stesso ha contribuito a creare e che faccia il distratto sugli affari di famiglia, avvenuti a sua insaputa manco fosse un Claudio Scajola qualsiasi, sembra un vero paradosso, quasi un contrappasso. Che Luigi Di Maio non veda un conflitto di interessi (nell’accezione grillina del termine) in una ispezione per lavoro nero fatta nella sua azienda dal dicastero che egli stesso guida o che affermi di non sapere che una delle cause parrebbe intentata da un lavoratore quando il vicepremier era già nella compagine societaria dell’azienda di famiglia, pare davvero troppo. Che finga di non sapere dell’esistenza della veranda condonata dove mammà gli fa trovare “e purpett” del pranzo della domenica è invece addirittura offensivo per l’intelligenza degli italiani. Tanto più che non c’è nulla per cui provare vergogna visto che il condono sana l’eventuale irregolarità.

È scandaloso tutto ciò? Secondo noi non lo è per nessun italiano a meno che non si tratti di un grillino, a meno che non si tratti cioè di uno che ci ha spaccato i maroni con l’Honestà con la H aspirata come se per fare il politico tu debba essere un solo al mondo (senza mariti o senza padri ingombranti), nato nullatenente nella grotta di Betlemme crescendo senza macchia e senza peccato come un asceta. Tutto quello che si trovava sotto questa simbolica asticella era degno di reprimenda perché “l’onestà tornerà di moda e la Kasta verrà spazzata via da questi splendidi ragazzi senza macchia”.

Noi a queste favole non abbiamo mai creduto così come non parteciperemo a questo teatrino del “Di Maio-gate” ritenendo di considerare il dibattito più appropriato alla piazza principale di Pomigliano D’Arco. Noi preferiamo continuare a criticare il ministro del Lavoro e vicepremier perché culturalmente e politicamente incapace di assolvere al suo ruolo.

Aggiornato il 30 novembre 2018 alle ore 11:24