Cambiare? Sì, smetterla di non dire altro

Sentivo sere fa una lunga intervista a Bersani (ve lo ricordate?). Che diceva? La solita solfa. Indovinate: il P.D. è da cambiare.

Anche la Democrazia Cristiana, e proprio negli ultimi tempi in cui resse maggioranza e governo cioè dopo quarant’anni e più che durò il suo “sistema” di conservazione, un bel giorno venne fuori con i suoi mega manifesti con lo scudo crociato su fondo azzurro. E sotto la scritta: “Per cambiare”.

Bersani, ha ancora l’acidità di stomaco della sua estromissione dalla Segreteria del Partito da parte di Renzi. E, quindi, del “Partito della Nazione”, del tentato sfregio della Costituzione. Tutte cose che Renzi tirò fuori “per cambiare”. E che più o meno lasciando le cose come erano, portarono Renzi al grande capitombolo.

Ma questa pretesa di dire tutto, proporsi come profeti semplicemente predicando che “si deve cambiare” è una preoccupante, dilagante sciocchezza. La sciocchezza della vacuità, il rifugio nella propria insicurezza. In sé cambiare non è un “progresso” né un progetto. Non è un passo verso il meglio.

Purtroppo questa balordaggine del trincerarsi sempre e comunque nella necessità di “cambiare” è un modo come un altro per non trovare autentiche novità, da adottare non perché nuove ma perché migliori, più chiare, più produttive, più semplici.

Aggiornato il 28 novembre 2018 alle ore 10:04