May da Juncker ma l’intesa sulla Brexit ancora non c’è

Non è stata solo una stretta di mano di fronte ad un testo preconfezionato. L’incontro di due ore tra la premier britannica Theresa May, volata a Bruxelles, per un tè di lavoro col presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, ha visto ancora una volta i due leader alle prese con una trattativa serrata, da cui però non è emersa una fumata bianca.

“Sono stati fatti buoni progressi”, ma “il lavoro va avanti”, ha fatto sapere un portavoce dell’esecutivo comunitario. Sul tavolo, i capitoli più problematici della dichiarazione congiunta sulle relazioni future, che nonostante gli sforzi dei negoziatori erano rimaste cerchiate in rosso, come il dossier su Gibilterra, quello sui diritti della pesca, la partnership futura sul commercio dei beni e il limite massimo per il periodo di transizione, che per i 27 Paesi della Ue non dovrebbe estendersi oltre il 31 dicembre 2022. Incalzati dalla cancelliera tedesca Angela Merkel - che attraverso la sua diplomazia a Bruxelles ha lanciato un ultimatum minacciando di non partecipare al vertice dei capi di stato e di governo di domenica se la dichiarazione politica congiunta non sarà “definita” entro le prossime 48 ore - Juncker e May hanno affrontato i nodi, uno dopo l’altro, senza però riuscire a chiudere. Intanto un collegio dei commissari ed una riunione dei 27 ambasciatori Ue straordinari sono stati convocati per domani, mentre la riunione degli sherpa è prevista per venerdì, per una messa a punto finale del testo.

Sebbene la dichiarazione sul futuro non abbia alcun valore legale, e sia piuttosto un documento per agevolare la premier britannica nel suo tentativo di ottenere la luce verde sulle 485 pagine dell’accordo di divorzio nel voto a Westminster, un ok è tutt’altro che scontato, con Spagna e Francia che hanno puntato i piedi. Il premier spagnolo Pedro Sanchez, oltre ad aver pubblicamente minacciato il veto sul pacchetto Brexit al summit dei 27 leader di domenica, ieri ha telefonato a Juncker e al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, insistendo affinché nel testo della dichiarazione Ue-Gb sia inserito un paragrafo in cui si afferma che la trattativa sul futuro della Rocca sarà bilaterale, tra Madrid e Londra. Sui diritti di pesca invece, Parigi ha lavorato più sottotraccia, esigendo comunque che la questione di un’intesa fosse affrontata dalla dichiarazione. Anche perché le posizioni di partenza, sul punto, tra i due blocchi, erano molto divergenti. Il Regno Unito chiedeva che il testo sancisse il suo status di stato costiero indipendente, con un accesso per l’Ue al negoziato, su base annuale. La Francia invece - appoggiata da Danimarca, Olanda e Belgio - voleva che il testo chiarisse che gli accordi sulla pesca sono una condizione essenziale per qualsiasi intesa tra Ue e Londra.

Sulla questione del commercio, invece, mentre May insisteva su un rapporto futuro ambizioso che le permettesse di dimostrare che l’entrata in vigore del “backstop”, il meccanismo di garanzia sulle frontiere irlandesi, non sarebbe mai stato necessario, Germania, Francia ed altri membri dell’Ue si erano opposti a qualsiasi linea che potesse dare false speranze. May, ancora in bilico, torna così a Londra, dove anche ieri, prima di partire, alla Camera dei comuni aveva insistito che un eventuale “no” all’intesa sul divorzio raggiunta con Bruxelles, condurrebbe ad uno scenario di “incertezze o a nessuna Brexit”. Ma il finale di partita è tutto ancora da vedere.

Aggiornato il 22 novembre 2018 alle ore 12:19