Nell’Ottocento Francesco De Sanctis, parlando delle piaghe del nostro Paese, che avevano finito col contagiare anche coloro che avrebbero dovuto curarle, in un saggio dedicato al Guicciardini, il grande storico del Cinquecento, con una di quelle sue frasi lapidarie che sono la sintesi di un’analisi quanto mai sottile e profonda, sentenziò: “L’Italia perì perché i pazzi furono pochissimi, e i più erano i savi”, intendendo per pazzi quei governanti, determinati, decisionisti, che pensano al bene del popolo, al prestigio e al futuro del proprio Paese, e per savi quelli che a furia di ragionare, di discutere, di tollerare e giustificare tutto e tutti, “finiscono con lo stare in sull’ambiguo e lasciarsi dietro l’uscita, facendo praticamente niente altro che il proprio particolare”.
Guicciardini riteneva impossibile nella politica la formulazione di qualsiasi teoria poiché le circostanze cambiano continuamente e dunque la Storia non può essere di esempio. L’unica facoltà che può aiutare l’uomo (e quindi anche e soprattutto il politico) è per Guicciardini la “discrezione”, cioè la capacità di adattarsi alle circostanze. Il suo eroe è quindi non il “virtuoso” del Machiavelli, ma il “savio”, che si adatta alla realtà del presente senza pretendere di cambiarla, pensando appunto al suo “particolare”.
Di governanti “pazzi”, nel senso su accennato, ce ne sono stati diversi in Italia (da Cola di Rienzo a Mussolini), che a un certo punto sono caduti, non per volere di tutto il popolo, o della sua maggioranza, ma per l’odio di un pugno di uomini, com’erano caduti Cesare e Napoleone. E come, ai tempi nostri, è caduto Berlusconi, che non è stato un dittatore ma che tale era visto dai suoi nemici, e che tuttora è benvoluto da una gran parte degli Italiani, i quali alle ultime elezioni hanno dato più voti a Matteo Salvini unicamente perché il Cavaliere non era candidabile e i voti dati a lui sarebbero stati sprecati. Non a caso Berlusconi accennava spesso all’Elogio della pazzia di Erasmo da Rotterdam, intendendo dire appunto che per poter governare ci vuole almeno un pizzico di pazzia.
Dopo aver detto in che cosa consisteva la ‘saviezza’ del popolo italiano e concluso che “pensando ciascuno al suo particolare, nella tempesta comune naufragarono tutti”, De Sanctis commentava amaramente: “Non c’è spettacolo più miserevole di tanta impotenza e fiacchezza in tanta saviezza”. E così concludeva: “La razza italiana non è ancora sanata da questa fiacchezza morale, e non è ancora scomparso dalla sua fronte quel marchio che ci ha impresso la storia di doppiezza e di simulazione. L’uomo del Guicciardini (l’uomo savio) vivit, immo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni passo. E quest’uomo fatale c’impedisce la via, se non abbiamo la forza di ucciderlo nella nostra coscienza”.
La saviezza e l’accettazione passiva, inquadrata magari in una visione cristiana secondo cui tutto dipende da Dio (ma se tutto dipende da Dio anche la pazzia è riconducibile a Lui, quindi perché rinunciare all’azione?) sono di per sé cose buone e giuste, ma si addicono ai saggi che si isolano dal mondo, che se ne vanno a fare gli eremiti sul monte Athos, sul Tibet o sull’Himalaya, non a chi governa una nazione, il quale deve pensare ai problemi concreti del Paese, alla Giustizia, alla Finanziaria, all’Istruzione.
Una cosa è dire, una cosa è fare: tanti nel parlare appaiono uomini eccellenti e riscuotono subito il consenso del popolo o della maggior parte di esso, ma all’atto pratico non fanno buona prova, anche se ciò molte volte dipende non da loro, ma dalle circostanze, dalla opposizione che incontrano da parte di un pugno di uomini, non dal popolo intero, i quali, per partito preso, per odio, per arroganza, per presunzione, usano tutte le armi a loro diposizione per toglierli di mezzo. In Italia, poi, come ha scritto un giornalista straniero, i politici “parlano troppo in pubblico” (e ciò dipende anche da certi giornalisti, che vogliono sapere minuto per minuto quello che i politici e il governo vanno facendo), mentre dovrebbero lavorare in silenzio e solo quando avessero risolto un problema o si fossero messi d’accordo, soltanto allora, dovrebbero fare le loro dichiarazioni.
Francesco Crispi deplorava l’impossibilità di costituire in Italia un governo qualsiasi a causa delle “risse fra i partiti”, della “disgregazione della compagine nazionale”, della “annebbiata coscienza dell’unità e della stessa ragion d’essere della patria”, e del governo degli ultimi tre anni disse che “aveva nociuto all’Italia peggio che una rotta campale”. Paolo Orano, dopo avere accennato al disprezzo sistematico che gl’Italiani hanno sempre nutrito verso qualsiasi governo e sostenuto che gli oppositori “spendevano il fiore del loro tempo in manovre di corridoio per rovesciarlo, bocciando qualunque cosa esso pensasse o facesse di buono”, scriveva che “anche al più bravo e onesto presidente del Consiglio non era concesso di provare, con l’assicurata permanenza, che aveva le attitudini per riuscire, sicché i governi duravano lo spazio di una stagione”. Niente di nuovo sotto il sole, nel nostro Paese.
La prima cosa che i nostri politici devono cambiare è il linguaggio e l’atteggiamento nei confronti degli avversari. Ciò vale soprattutto per quelli della (ex) Sinistra, che deve smetterla di trattare come pezze da piedi i politici e tutti gli italiani della Destra, dicendo loro, con arroganza e presunzione (per citare solo alcune frasi): “Ma voi che cosa siete?”, “Io con voi non ci parlo”, “Siete impresentabili”, “Siete una massa d’incolti, di rozzi, d’incivili, razzisti, fascisti!”, e così via. E’ questo il primo cambiamento che deve avvenire nel nostro Paese.
Fratelli d’Italia
Elezioni politiche 2018
Cronaca degli avvenimenti
(sintesi)
Fratelli d’Italia, l’Italia protesta,
si strappa la chioma, si batte la testa,
ma nelle elezioni, comunque se n’esca,
per mille ragioni più fede non ha.
Può vincere, infatti, qualsiasi partito,
ma dopo cominciano i soliti giochi:
si mettono insieme fra loro i più pochi,
che fanno più numeri di quello che ha vinto,
formando un governo che nome non ha.
Stavolta la gara l’ha vinta la Destra,
con il trentasette per cento dei voti,
i pentastellati ne han presi di meno,
sconfitto e deluso è stato il Pd.
Perciò il premierato toccava alla Destra,
ma il Capo di Stato, tenuto presente
che i suoi tre partiti non sono coesi,
ha dato l’assenso soltanto alla Lega,
in quanto Salvini ha preso più voti.
(Però se lo stesso succede al Pd
le sue divisioni non contano più).
Così stando i fatti, Salvini e Di Maio,
per quanto diversi, si sono alleati.
“Noi siamo gli alfieri di un gran cambiamento”.
proclamano alteri. “E’ giunto il momento!”.
E vanno stilando insieme un accordo
facendo promesse a un popolo sordo
che a quella kermesse già più non ci sta.
Di certo Salvini non è come il Duce,
ma un poco di luce almeno la dà.
Invece Di Maio è ancora un ragazzo,
tra un frizzo ed un lazzo solleva un vespaio,
ma tutto sommato credibile è.
Il Capo di Stato, ch’è molto assennato,
propone un governo che sia di passaggio:
governo di tregua, governo neutrale,
governo di scopo, in modo che dopo
il popolo fesso ritorni a votar.
Così, a un certo punto, chinando la fronte,
incarica Conte, che un tecnico è.
Ma questo progetto purtroppo va a monte:
non bastano i numeri, non tornano i conti
e la maggioranza non la si può far.
L’incarico a Conte così se ne va.
Stilata la lista di tutti i ministri,
Di Maio e Salvini ritornano al Colle.
Ma il Capo di Stato non vuole Savona,
il nuovo ministro dell’Economia,
perché in simpatia l’Europa non ha.
Savona difatti rifiuta e contesta
la balia tedesca, e alzando la voce,
con tono feroce, esclama: “L’Italia
così non ci sta, la schiava d’Europa
mai più non sarà. Perciò dalle spalle
si tolga la soma e mostri le palle
l’erede di Roma, se ancora ce l’ha”.
E passano i giorni, continua la storia,
son più di due mesi, non cessa il duello,
e intanto bel bello salito è lo spread,
coi conti sospesi più non si può star.
Rimasto a quel punto, deluso e beffato,
già debole e smunto, il Capo di Stato
licenzia i ribelli e affida il mandato
a un tal Cottarelli, che fu del Pd
e che come Conte un tecnico è.
Ma, pensa e ripensa, Salvini e Di Maio,
convinti e concordi riparano al guaio
e accettano il veto del Capo di Stato,
mettendo da parte l’incauto Savona.
Così si ritorna di nuovo alla fonte
e il Capo di Stato reincarica Conte.
Giolitti in passato gridava commosso:
“Il Duce ha salvato l’Italia dal fosso!”.
Vedremo se adesso, cessato il vespaio,
faranno lo stesso Salvini e Di Maio.
Purtroppo anche loro avranno a che fare
coi veri poteri che sono più forti.
È un vizio di fondo del nostro sistema
che rende insolubile qualsiasi problema.
Lobbisti e banchieri dirigono il coro
e nella politica comandano loro.
Perciò i nostri voti politicamente
risultano vuoti, non contano niente.
Governi e governi si son succeduti,
ma prima del tempo son sempre caduti.
Dal quarantacinque son più di sessanta
i nostri governi: facendo la media,
ciascuno è durato un po’ più di un anno.
Soltanto il Fascismo, volenti o nolenti,
col suo patriottismo ci ha fatto rigar.
Nel bene o nel male per più di vent’anni
ci fu un ideale, il volgo disperso
trovò nel Fascismo un clima diverso,
ci fu in quel periodo un gran cambiamento,
l’Italia era allora concorde ed unita.
Ma venne la guerra e tutto finì.
Così siam tornati calpesti e divisi,
subiamo disastri, catastrofi e crisi.
Persino l’Unione invece di unire
la nostra nazione vuol farla sparire.
Adesso il Governo porrà la fiducia,
se il mondo non brucia di certo l’avrà.
Ma cosa poi faccia, se duri o non duri,
non siamo sicuri che ce la farà.
(Herald Editore)
Aggiornato il 22 ottobre 2018 alle ore 12:09