
Diktat e facezie. Perché quando parla, che so, il presidente della Commissione Ue con i suoi diktat si dice che le sue prese di posizione “non” influenzino l’ascesa dello spread nel lunapark delle Borse internazionali, mentre accade l’esatto contrario qualora si raccolgano i sussurri di un pressoché sconosciuto presidente della Commissione Bilancio del Parlamento italiano? Invece di fare spallucce a questo nostro strambo Cartesio fuori tempo, che offre incautamente alla cronaca trash la sua debole voce dal sen fuggita (dicendo una banalità sudamericana, come quella che con una moneta nazionale si andrebbe alla spesa allegra a beneficio dei propri clientes, in verità depauperati da quei divini custodi dei Trattati europei), perché i mercati della finanza e dei cambi gridano alla rivelazione del “Cigno nero” dell’uscita dall’Euro, costringendo un Governo oberato da ben altri affanni a ovvie smentite? A parte che una simile scelta devastante non sta scritta nel “Contratto” Lega-M5S, quanti risparmiatori italiani sarebbero d’accordo a rinunciare in breve tempo alla metà del loro potere d’acquisto e del valore nominale attuale dei risparmi familiari? Per non considerare che, in tal caso, come ci predisse tempo fa il Financial Times, alla “Restaurazione” basterebbero 48 ore per rimettere a posto le cose con un colpo di mano.
La Storia, malgrado tutto, tende a ripetersi: come sette anni fa, anche oggi lo spread è il killer senza volto incaricato di giustiziare governi legittimi. In realtà, qui come altrove, la politica si fa dai bookmakers, dato che nessuno in verità sa a priori se siano più paganti (almeno per l’Italia del post-2008) le politiche germaniche di austerity o quelle keynesiane del deficit spending. Sì, certo, il famoso “Reddito di cittadinanza” assomiglia a un “elicopter money” (in cui su di una folla osannante cade una manna di banconote) e a un azzardo politico senza precedenti, visto che per imitare ad es. il modello tedesco ci vorrebbero degli uffici di collocamento perfettamente efficienti, in grado di racimolare offerte di lavoro pari almeno a tre volte il numero dei beneficiari del reddito. Ovvero, per cinque milioni di ipotetici aventi diritto questi (oggi inesistenti) prestigiatori dovrebbero inventarsi qualcosa come quindici milioni di offerte di lavoro! Ma ci sono delle conseguenze che, per chi come me è stato per decenni dirigente dello Stato, avrebbero ben altro impatto destabilizzante sulle spese correnti.
Ne cito solo tre: il reclutamento (part-time?) di centinaia di migliaia di nuovi burocrati per gestire le offerte di lavoro e applicare le sanzioni conseguenti alle violazioni di legge; l’enormità del nuovo volume di contenziosi in caso di recessione del diritto al sussidio; l’impossibilità di sovraintendere in qualsiasi modo alla così detta “spesa etica” dei soldi dell’assegno. Infatti: quali sarebbero lo strumento d’acquisto e le funzioni di controllo digitale? E con quanti controllori pubblici si intenderebbe vigilare sull’uso corretto dei soldi erogati tramite il reddito di cittadinanza? Con i tempi assurdi attuali, quanto tempo passerebbe tra la continuità del godimento del suddetto beneficio e la sua interruzione, conseguente al terzo rifiuto di accettare un lavoro da parte dell’assistito? Nel frattempo, quante inutili, immense risorse di denaro si sarebbero bruciate in corsi di formazione e mantenimento?
Vi sembrerà strano, ma la stessa identica scommessa (perduta per l’Italia) riguarda l’università pubblica a prezzi politici, che è naufragata miseramente sia in una immensa fabbrica di posti di lavoro per insegnanti precari, sia nella demeritocrazia diffusa e nella conseguente fuga dal mercato della materia grigia nazionale dei migliori talenti laureati. Per risollevarsi da questa tragedia bisognerebbe abolire il titolo legale di studio e porre a regime un vero e proprio prestito d’onore per studiare nelle migliori università del mondo. Perché, poi, è assolutamente falso che “Uno vale Uno”, dato che il pessimo non è uguale all’ottimo!
Aggiornato il 03 ottobre 2018 alle ore 13:44