
Ha ragione Giancarlo Giorgetti, questa manovra si può e si deve cambiare. Qui non si tratta di farlo per paura dello spread, oppure delle critiche ipocrite dei cattocomunisti, che hanno fatto di peggio e di più. Si tratta di rispetto del futuro, si tratta di offrire un’opportunità ai giovani, di saper spendere il denaro pubblico, di spingere il Paese all’intrapresa. Tutto qua, basterebbe il buon senso del padre di famiglia per capire che un conto è indebitarsi per costruire la casa, altro è per fare le vacanze.
È su questo che Luigi Di Maio o ci fa oppure, con rispetto, c’è proprio. La terza ipotesi non esiste, è tutto chiaro. Guardate a noi, le critiche di piazza della sinistra non scuciono un baffo, ragioniamo con la testa, oltretutto i cattocomunisti che attaccano la manovra sono ridicoli e dovrebbero tacere, come se non bastasse il male che hanno fatto. Nella storia nostra, il centrosinistra, con lo sperpero, l’assistenzialismo, lo statalismo e il leviatano pubblico ha rovinato tutto quel che si poteva, per questo siamo diventati un colabrodo. Altro che crisi e congiunture. La manovra va cambiata per buon senso, col debito che abbiamo e con il Sud da indirizzare alla crescita, alla valorizzazione e all’intrapresa, il reddito di cittadinanza è un’eresia, è solo una marchetta elettorale. Sprecare così 10 o 15 miliardi per anno, in assistenza e per nullafacenza, è una follia sociale in prospettiva, punto e basta. Per questo Di Maio ha poco da pontificare a “Non è l’Arena” da Massimo Giletti, fa solo chiacchiere e piccole sentenze, ma lo sviluppo e il bene del Paese non può passare dove dice lui.
L’Italia è anestetizzata dalle tasse, dalle certificazioni, dagli obblighi di burocrazia, dalla giustizia che non arriva mai, dall’impiegato del timbro che è sempre assente, anestetizzata dai costi e dal tempo perso. Ecco perché servirebbe una folgorazione sul fisco, sulla semplificazione, sul disboscamento pubblico e sulle privatizzazioni. Il reddito di cittadinanza, specie da noi, è un bisturi infetto per incidere, scatenerà una sepsi sociale devastante, mortificando la cultura di sviluppo.
Per questo confidiamo in Giorgetti, nella storica cultura dei leghisti, vi ricordate il federalismo? La lotta contro il centralismo dello Stato? Le privatizzazioni e gli enti inutili da chiudere? Quei 15 miliardi caro Giorgetti andrebbero sul fisco, sulle camere di commercio da eliminare, sulla cancellazione di bolli e adempimenti, sulla fine di gabelle e ciceroni, sulla chiusura di uffici passacarte. Solo cosi cresceremo e lei sottosegretario lo sa bene, cerchi di spiegarlo agli alleati gli ricordi che la sua cultura che poi è la nostra, è quella dell’impegno, quella che ad una fine senza impegno preferisce sempre un impegno senza fine!
Aggiornato il 01 ottobre 2018 alle ore 13:36