
Sa, onorevole Luigi Di Maio, anche Dc e Pci fecero festa. Quando all’inizio degli anni Settanta approvarono la legge sulle baby pensioni, considerata un gran successo sociale. Festeggiarono pure, i cattocomunisti, in occasione di tante leggi di favore, su scivoli e abbuoni per la previdenza di alcuni segmenti dello Stato, vedi Banca d’Italia. Cosi come, sempre in quegli anni, l’accoppiata clerico-marxista, stappava champagne ogniqualvolta si deliberava assistenzialismo e statalismo, in un modo o nell’altro. Bene, anzi male, passati più di quarant’anni i risultati di quelle feste li vediamo bene: debito, conti e previdenza devastati al punto tale da piegare in due il futuro del Paese, a partire dai giovani e dal sud. Caro Di Maio, l’austerità sui conti, la legge Fornero, lo spread e i vincoli sul bilancio nascono da lì e non da Marte; se lo faccia spiegare da quei geni degli economisti che la consigliano il motivo per cui l’Italia è messa male.
Si faccia raccontare degli sprechi e degli sperperi con la Cassa per il Mezzogiorno, con le perdite infinite delle partecipazioni statali, col mito dell’impiego pubblico, con l’ossessione assistenziale. Ecco perché diciamo che c’è poco da gioire caro ministro. Il reddito di cittadinanza non fa sviluppo, non stimola all’impresa, non spinge a produrre reddito, al contrario lo consuma. All’Italia serve ciò che è mancato: il pensiero e la cultura dello sviluppo e della crescita, perché di statalismo e assistenzialismo ne ha avuto fino a stare male. Per questo siamo convinti che se quei 12 o 13 miliardi, che Lei ha voluto sul reddito e i centri pubblici d’impiego, si mettessero su fisco e stimoli all’intrapresa e produzione, ben altra musica suonerebbe. Caro Di Maio, Lei è vittima del veterocomunismo grillino, creda, in nessun socialismo reale l’economia ha funzionato, anzi, il muro è crollato proprio sulla fame, all’est con l’assistenza hanno ridotto popoli e bilanci alla miseria.
Insomma, non canti vittoria per i voti che col reddito s’è preso. Tra una ventina d’anni lei passerà alla storia come una Fornero al contrario: la Signora verrà ricordata per aver strozzato i rubinetti e Lei per aver bucato la vasca. Sono i due volti della medesima medaglia. In fondo, togliere tutto equivale a dare tutto. Si creano solo squilibri e brutte prospettive, figuriamoci quando il tutto poi è gratis. La povertà, Giggino, non si sconfigge con l’elemosina, ci vuole lo sviluppo, gli investimenti, gli stimoli fiscali, la semplificazione ed i servizi giusti. Solo così si crea ricchezza, occupazione e reddito. Caro ministro, studiare un po’ d’economia non le farebbe male. Approfondisca la liberal-democrazia e i mercati. Perché di statalismo sa troppo e, senza offesa, nemmeno bene.
Aggiornato il 28 settembre 2018 alle ore 13:22