Migrante o immigrato?

Il vocabolario è (quasi) tutto in politica. Un esempio illuminante viene dal mainstream del politically correct che ha sostituito (a destra come a sinistra) il vocabolo “Immigrato” con quello di “Migrante”, i cui significati sono del tutto inequivalenti. Tant’è che “Le Figaro” del 25 settembre 2018 dedica alla materia un vibrante intervento dell’ex consigliere speciale, Hugues Moutouh, del ministro dell’Interno francese all’epoca della presidenza di Nicolas Sarkozy, dal titolo “Le mot ‘migrants’ traduit un parti pris idéologique que nous devons refuser”.

In sostanza il ragionamento è il seguente. In passato, con l’uso della formula “immigrato” si faceva un generico riferimento allo straniero in cerca di rifugio o di un’occasione migliore di vita, di cui però andava in ogni caso verificato il diritto a rimanere nello Stato d’ingresso. Qualora ne fosse stato accertato il presupposto della clandestinità senza alcun diritto al rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo, lo straniero interessato era obbligato a rientrare nel Paese di origine. Invece, il passaggio alla parola più neutra “migrante” fa sì che si abbandoni l’angolazione prettamente politica per privilegiare esclusivamente il piano umanitario.

In questo, i trafficanti di esseri umani sono stati facili maestri nell’istruire le loro vittime, una volta salvate in mare da navi delle Ong o da quelle militari dell’operazione Sophia, in qualità di “naufraghi” (e non di immigrati clandestini, si badi bene!), a richiedere sempre e comunque lo status di rifugiato. La Convenzione di Ginevra è divenuta così la corda dell’impiccato per tutte le democrazie occidentali, e per i Paesi dell’Unione europea in particolare. Ai costi faraonici statali per la prima assistenza e per il sostegno alle spese legali dovute al gratuito patrocinio in caso di ricorsi giurisdizionali, si è aggiunta la beffa dell’impossibilità pratica di rinviare verso i propri Paesi di origine la stragrande maggioranza di coloro che non avevano diritto a rimanere nello Stato di prima accoglienza. Con conseguente, grave peggioramento delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico, per non parlare del crescente degrado sociale e abitativo derivato dall’afflusso massivo di immigrati illegali nelle periferie disagiate delle grandi città europee. Si è così generato un elevato grado di allarme e di insofferenza verso le immigrazioni incontrollate, di cui l’Ue ha dato ampia dimostrazione di non essere in grado né di gestire, né di prevenire.

Da qui, il successo dirompente delle nuove formazioni nazionaliste definite con qualche approssimazione “Populiste e Sovraniste”. Questo perché, “quando si parla di ‘migranti’ e di ‘migrazione’ si ribaltano e falsificano i termini della questione. Si tende cioè a instaurare a beneficio di questi stranieri una presunzione di dovere dell’accoglienza, con un ribaltamento inedito dell’onere della prova. Si intima ai governi di spiegare il loro eventuale rifiuto dinnanzi al tribunale dell’opinione pubblica del perché non si vogliano accogliere ogni giorno sempre più migranti. Con questi ultimi che appaiono rivendicare (per conto di chi e in nome di che cosa?) un autentico titolo di credito nei confronti degli Stati europei, vantando una sorta di incredibile e terribile potere di esigere [un risarcimento. [...] E invece no: i ‘migranti’ che ci vengono recapitati dalle nuove mafie, con il concorso irresponsabile (ma non sempre ingenuo) delle Ong non possono esigere dalla Francia, dalla Germania o dall’Italia tutto un insieme di prestazioni che vanno dal diritto all’accoglienza, all’assistenza e alla casa, per terminare al diritto di avere un lavoro o un’istruzione”.

Da condividere pienamente, per uscire definitivamente dalla suddetta trappola semantica.

Aggiornato il 27 settembre 2018 alle ore 11:34