
La magistratura “non deve rispondere alle opinioni correnti” né “orientare le decisioni giudiziarie secondo le pressioni mediatiche”. Non deve farlo, così come non deve nemmeno “pensare di dover difendere pubblicamente le decisioni assunte”, per una semplice ragione: perché è autonoma e indipendente e dunque “soggetta soltanto alla legge”.
È un richiamo a tenere la schiena dritta, a non farsi condizionare neanche dalla piazza, in un momento difficile per il riproporsi delle tensioni con la politica, quello che rivolge alle toghe il capo dello Stato. L’occasione è la cerimonia di insediamento del nuovo Csm, completamente rinnovato a luglio nella sua composizione. E il discorso sembra il completamento di quel ragionamento che portò poco più di 10 giorni fa Sergio Mattarella a ricordare, nel pieno del braccio di ferro ingaggiato dal vice premier Matteo Salvini con i magistrati che indagano sul caso della nave Diciotti, che “nessun cittadino è al di sopra della legge”. All’azione giudiziaria però il presidente chiede “credibilità” e “trasparenza”, qualità “doverose” e che “possono essere rafforzate anche da un’adeguata comunicazione istituzionale”, un antidoto anche alle “sovraesposizioni” mediatiche dei singoli giudici, sempre “cariche di pericoli”. Mattarella rivolge un monito anche ai nuovi consiglieri, i 16 togati e gli otto laici eletti a luglio: loro che sono i componenti di un organo “fondamentale” per l’assetto democratico dello Stato devono mettere da parte nell’espletamento del mandato le appartenenze politiche o di corrente. Parole che pesano anche perché arrivano alla vigilia della prima e importante decisione del nuovo Csm: l’elezione giovedì prossimo del vice presidente, che ha un ruolo cruciale e di raccordo con il capo dello Stato che del Csm è il presidente. I componenti laici, ricorda Mattarella “sono eletti non perché rappresentanti di singoli gruppi politici (di maggioranza o di opposizione) bensì perché, dotati di specifiche particolari professionalità, il Parlamento ha affidato loro il compito di conferire al collegio un contributo che ne integri la sensibilità”. A loro volta “i togati non possono e non devono assumere le decisioni secondo logiche di pura appartenenza”.
Tutte le componenti devono essere guidate dal “senso del servizio all’istituzione” e al Paese. Un concetto che si declina anche nella scelta dei dirigenti degli uffici giudiziari che deve avvenire per meriti professionali e nelle decisioni della Sezione disciplinare, che devono essere celeri e rigorose. L’attenzione è comunque ora tutta puntata sull’elezione del vicepresidente, che va individuato tra gli otto componenti laici e per cui è determinante il voto dei togati, anche per l’ampia maggioranza richiesta (14 voti nei primi due scrutini, poi passa chi ottiene il maggior numero di consensi).
La scelta sembra polarizzarsi tra David Ermini, ex responsabile Giustizia del Partito Democratico (che avrebbe il sostegno di Magistratura Indipendente e anche di Unicost) e uno dei laici del Movimento 5 Stelle (tutti formalmente in corsa, perché il Movimento non ne ha indicato uno solo) cioè i professori Fulvio Gigliotti e Filippo Donati, in prima battuta, e Alberto Maria Benedetti, che sembrerebbe però essersi chiamato fuori. Autonomia e Indipendenza, il gruppo di Piercamillo Davigo, vorrebbe uno di loro e a loro guarda anche Area, il gruppo delle toghe progressiste. I grillini restano alla finestra: “è una scelta indipendente del Csm”, hanno detto il presidente della Camera Roberto Fico e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, a margine della cerimonia al Quirinale.
Aggiornato il 25 settembre 2018 alle ore 19:50